Connessioni contemporanee
Un dialogo col presente
4-11-18 Settembre 2025
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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Pubblicato il 28-07-2025
Visto 4.052 volte
Il Teatro Remondini venerdì 25 luglio ha ospitato lo spettacolo Il sogno di una cosa, di e con Elio Germano e Teho Teardo, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini.
Una lettura scenica quella proposta dai due artisti, comparsi sul palcoscenico in nero allestito da Operaestate Festival, non al Castello degli Ezzelini per minaccia di pioggia. Germano e Teardo si sono sistemati seduti dietro due tavoli, tra vari strumenti musicali e attrezzature tecniche, posti sotto due riflettori.
Elio Germano e Teho Teardo al Teatro Remondini (foto Operaestate Festival)
Una narrazione evocativa di un’epoca, di una condizione storica e della tensione tra realtà e utopia che vive negli anni della giovinezza, le parole di Pasolini lette da Germano a guidare in storie di confine con rotta inversa rispetto a quelle che siamo abituati ad ascoltare, ma sempre alimentate dalla speranza e con meta finale la disillusione. Un racconto corale, che vive in un paesaggio sonoro ricreato con ricercatezza da Teardo e anche in alcuni punti da Germano stesso, che suona alcuni strumenti di percussione e una piccola fisarmonica, strumento quasi parlante, inoltre da contributi di voci registrate dove fa la sua comparsa il Friulano.
Si viaggia all’interno del romanzo, circondata la platea di diffusori che avvolgono nelle sonorità del paesaggio, in immersione tra terre aspre, all’ombra di una torre di campane, in mezzo a campagne estive che fanno da sfondo ai sogni di tre giovani che a un certo punto decidono di partire e cercare una vita migliore in quella che era la Jugoslavia comunista, diventando lì dei clandestini. Il ritorno sarà uno scontro con la mediocrità e il fallimento, per uno di loro con la tragedia. L’impeto della giovinezza e l’assetto tribale che sottende l’essere giovani spingono questi ragazzi ad agire per uscire da una condizione di miseria anche culturale, e sociale. La battaglia tra le speranze e la loro inevitabile erosione prende forma in questo primo romanzo di Pasolini in un linguaggio da neorealismo e insieme poetico, sospeso nel tempo. I paralleli col presente a tratti si moltiplicano, man mano che il testo si dipana, a tratti si assottigliano, dove si sente lo stretto legame con un tempo passato ben definito percepibile in tanti passaggi – Pasolini nacque nel 1922, oltre cent’anni fa, e il suo sguardo si è spesso rivolto all’indietro nello scrivere della propria terra.
Si chiudono volentieri gli occhi durante lo spettacolo, all’interno dei circa cinquanta minuti, perché l’accadimento non è in scena. La formula del podcast, a cui ormai siamo ormai abituati in ogni dove, è la traslazione ideale per format come questo, che si reggono su vibrazioni emotive, un flusso corrente tra fine dicitore – il cantore che traghetta le parole di uno scrittore – e il “lettore” presente in sala, tra loro un’aria di casa ricreata attraverso la commistione di parole e i suoni.
In certi momenti la bellezza delle musiche di Teardo si impenna e va oltre la voce che declama accanto senza virtuosismi, tracciando stacchi perentori, ma la narrazione che ha l’andamento e la potenza di monito di un memoriale prevale, e la cosa sognata a cui si riferiva Pasolini si riconosce, nei suoi connotati a metà tra nuda realtà e immagini da sfera di cristallo.
Applausi calorosi da parte del pubblico di Operaestate.