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Le categorie dell’inflazione

L’inflazione è in calo ma i prezzi restano alti. Viaggio nelle categorie economiche: Bordignon (Confindustria), Venzo (Confartigianato) e Lunardi (Confcommercio)

Pubblicato il 05-07-2023
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Elena Pavan

L’inflazione sta lentamente rallentando.
Secondo le ultime stime dell’Istat, nel mese di giugno l’indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4% su base annua, dal +7,6% del mese precedente.
Un piccolo segnale di miglioramento sul fronte dei prezzi, resta comunque il problema di un’inflazione che ha galoppato per un anno e mezzo a ritmi che non si vedevano da 40 anni.

Alessandro Bordignon (presidente del raggruppamento Bassano di Confindustria), Sandro Venzo (presidente di Confartigianato Bassano), Paolo Lunardi (capo della Confcommercio di Bassano)

Le percentuali in economia sono da maneggiare con cura, si possono utilizzare infatti molti modi per “confrontare” i dati, anno su anno, mese su mese, e come tutti sanno quando ci sono tanti dati si rischia di non capirci più niente.
Sta di fatto però che per fare la spesa al supermercato, andare in trattoria, o pagare un qualsiasi servizio, rispetto ad un anno fa, si paga una cifra decisamente più alta.

Il nostro mini tour nelle “categorie” dell’inflazione inizia con i prezzi alla produzione, sentendo le impressioni di Alessandro Bordignon, ceo di Tecnoplast e presidente del raggruppamento Bassano di Confindustria.
«I prezzi dei metalli sono scesi parecchio rispetto ai massimi dello scorso anno, vedremo cosa succederà con le materie prime e l’energia. Nel mio settore, la plastica, siamo ancora lontani però dai livelli del pre Covid. Nei prossimi mesi bisognerà fare i conti con l’aumento del costo del lavoro: il contratto dei metalmeccanici, che fa da guida a tutti gli altri comparti dell’industria, ha già incorporato un aumento medio del 6,6%». Se l’inflazione, nelle ultime rilevazioni mese su mese, si sta avviando verso una stabilizzazione, in alcuni settori si parla di un aumento dei prezzi dovuto a extra profitti ingiustificati, fenomeno che va sotto il nome di “Greedflation” (inflazione da profitto).

«Non penso assolutamente che sia un fenomeno in atto nell’industria italiana. Non vedo aumenti dei listini alla produzione superiori ai costi dell’inflazione.
Anzi, direi il contrario: una parte considerevole dei maggiori costi sostenuti dalle imprese non sono ancora stati scaricati a valle. I prezzi finali teoricamente potrebbero essere ancora più alti, ma nelle filiere tutti si sono in qualche modo “trattenuti”. La marginalità in aumento, che si è vista nei bilanci 2021 e 2022, è in larga parte conseguente a maggiori volumi di vendita rispetto al passato».

La lotta all’inflazione non è semplice e da manuale prevede una cura complessa e graduale: alzare il costo del denaro per rallentare la domanda. Per fermare l’aumento dei prezzi bisogna dunque limitare un po’ di crescita economica, ricetta che evidentemente non piace a molte categorie, a partire ovviamente dalla politica. Domanda delle cento pistole: chi fa impresa, chi fa economia, teme di più l’inflazione o i tassi alti di interesse? «Mi preoccupa di più l’inflazione, perché a medio termine fa sicuramente danni peggiori».
Sulle cure, e soprattutto sulle modalità di somministrazione delle cure per abbassare l’inflazione va detto che non c’è una verità assoluta. Ci sono però evidenze incontrovertibili della distruzione economica che porta l’inflazione, senza scomodare i tempi di Weimar in Germania, basta guardare a quello che succede in Venezuela o in Turchia.

Sandro Venzo, presidente di Confartigianato Bassano, amministra una fabbrica di stampi e come gran parte delle aziende del suo settore sente quasi subito se il vento della produzione tira ancora bene. «Lavoriamo su portafogli ordini vecchi, i segnali che arrivano dicono che la grande industria si sta fermando. Non guardiamo all’onda lunga che ancora spinge il mondo della casa o ai buoni risultati del 2022. Ci sono nuvole all’orizzonte: ho letto che ci sono già 15 mila famiglie vicentine in difficoltà». L’inflazione è una “patrimoniale” al contrario: sono generalmente i redditi più bassi a pagarne le conseguenze, semplicemente perché la maggior parte delle loro entrate è destinata a soddisfare le spese primarie, come alimentari, medicine, bollette e piccoli servizi.

Combattere l’inflazione, sembra strano, è una battaglia che dovrebbero intestarsi soprattutto le categorie economiche più fragili. «Pur non di scaricare tutti gli aumenti gli artigiani stanno i comprimendo i loro margini, altrimenti cominciano a saltare gli ordini.
Non è che l’inflazione non faccia paura anche agli imprenditori, ma un forte aumento dei tassi di interesse riduce ancora di più i margini economici e soprattutto fa posticipare i grossi investimenti.
D’altro canto l’inflazione alta – continua Venzo – fa emergere nuovi problemi, per esempio quelli legati alla domanda e offerta di lavoro. Non c’è più contratto base che tenga quando non ci sono più tecnici e operai specializzati, le buste paga ormai si contrattano “one to one”».

Quindi, per chiudere, in linea di massima la politica monetaria della BCE è corretta?
«Dico questo: attenzione con l’aumento dei tassi, l’orizzonte della crisi non è più molto lontano, già adesso molte aziende cominciano a far finire tutte le ferie dell’anno per prepararsi a chiedere la CIG, perché non si prospetta un autunno semplice. Invece proprio in questa fase le imprese avrebbero un assoluto bisogno di fare investimenti in tecnologia e nuovi macchinari per stare al passo nei nuovi standard della competizione tecnologica».
A valle della trasmissione dei prezzi, nell’ultimo stadio della catena commerciale, lavorano i commercianti, travolti anch’essi da una potente ondata di aumenti, delle materie prime, delle bollette, del costo dei servizi.

A Paolo Lunardi, capo della Confcommercio di Bassano, non convince assolutamente la strategia messa in campo dalla BCE per arginare l’aumento dei prezzi.
«I prezzi hanno cominciato a salire dopo l’inizio della guerra, è partito tutto dai costi dell’energia e delle materie prime. Basta guardare a quello che successo nei prezzi dei beni alimentari. Nessuno ha scaricato sui prezzi finali tutti gli aumenti dei costi, i margini dei commercianti non sono aumentati, anzi. In ogni caso è sbagliato aumentare i tassi con queste premesse, è una politica economica che non fa bene a nessuno».
Va sottolineato che normalmente l’alta inflazione lascia sul campo di battaglia anche effetti di ordine strutturale: la corsa dei prezzi ad un certo punto si arresta, ma i listini e gli scontrini nella maggior parte dei casi restano comunque su livelli più alti del passato. In sostanza: il caffè a 1,30 euro o la pizza margherita a 9 euro non tornano più indietro.
«Questa inflazione è stata causata dall’energia e dalle materie prime, la mia paura principale è che continuando su questa strada si arrivi ad una recessione pericolosa. I consumi stanno ancora tenendo, ma per quanto ancora?».

Le preoccupazioni del presidente della Confcommercio sono condivisibili, sono il buon senso del padre di famiglia, gli economisti macro sostengono invece che non sono determinanti le cause originarie dell’inflazione, perché quando si innesca un fenomeno inflativo entrano in gioco le aspettative degli operatori economici e finanziari e non ci sono tante altre soluzioni disponibili oltre a quella di rallentare l’economia aumentando i tassi. Per fare un paragone con la medicina: quando hai la febbre a 40°, la prima cosa da fare è cercare di abbassarla in tutti i modi possibili. «Stiamo ancora vedendo le conseguenze del post Covid, la gente vuole giustamente uscire, andare in ferie, al ristorante, per fortuna aggiungo io. Ma dopo l’estate?».

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