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Redazione
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Autarchia alimentare
Martino Cerantola (Coldiretti): sostenere in tutti i modi le aziende agricole italiane
Pubblicato il 11-03-2022
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Con la pandemia prima e la guerra poi abbiamo scoperto che le basi su cui poggia la nostra economia (e il nostro benessere) sono fragili. Fragilissime.
Filiere produttive lunghe, indifese, esposte a rischi geografici (dipendenti da Paesi e mercati lontanissimi), a instabilità di ogni tipo e spesso in preda di pescecani finanziari di ogni risma. L’instabilità può essere causata da eventi tragici come la guerra, ma anche da eventi sanitari, climatici e naturali (carenza di materie prime). Certo si può stare senza l’auto nuova per qualche mese in più a causa della mancanza di microchip, per le materie prime industriali si possono sopportare (non all’infinito) problemi di costo e di tempistiche di consegna. Ma ora la tensione internazionale ci mette addosso la paura di ritrovarsi senza grano, pasta, olio di semi, zucchero, caffè e carta. La frutta è arrivata a prezzi stellari. Manca anche il concime.
Martino Cerantola ha appena terminato una riunione di giunta della Coldiretti – è il presidente della federazione provinciale – e ammette che anche nel suo mondo ci sia grande incertezza su quello che potrà succedere. «Tra gli agricoltori si respira veramente molta preoccupazione».

Martino Cerantola (Coldiretti)
Possibile che, a meno di un mese dall’inizio della guerra, l’Europa corra il rischio di finire le scorte di tanti prodotti alimentari basilari?
«Per l’Italia accade perché non siamo autosufficienti per molte produzioni alimentari. Dipendiamo dall’estero e ci affidiamo agli esportatori, più del 60% dei cereali viene importato. Sull'agricoltura paghiamo anni di politiche sbagliate».
Ma veramente manca il grano?
«Sì e anche il mais. I problemi ci sono sia per l’alimentazione umana sia per quella animale. Nel secondo caso i prodotti arrivano in prevalenza proprio dall’Ucraina. Adesso c’è il problema della guerra, ma ci sono altre cause strutturali, come il cambiamento climatico, che influiscono sui raccolti e sul prezzo dei prodotti. Alcuni Paesi dell’Est, per esempio l’Ungheria, hanno ridotto moltissimo le loro produzioni. Ma, ripeto, per anni non è stata fatta nessuna politica strategica».
L’agricoltura italiana cosa può migliorare?
«Chiederemo anche a livello europeo di produrre di più. In Italia ci sono un milione di ettari, per esempio quelli adibite a zone EFA, che potrebbero essere riconvertiti in zone produttive agricole. Il 10% di questi terreni è proprio qui in Veneto».
Addirittura in alcuni supermercati si può comprare l’olio di semi in numero limitato, un paio di bottiglie.
«L’olio di semi di girasole arriva quasi tutto dall’Ucraina. In generale, gli acquisti e il magazzino di questi beni si fa secondo necessità. In Italia abbiamo produzioni limitate ma abbiamo margini per migliorare».
Passiamo ai rincari sulla frutta, qui la guerra dovrebbe influire meno.
«Tante aziende ortofrutticole hanno chiuso perché non più remunerative. Si sono aggiunti in questi anni anche danni importanti dovuti al clima. Pensiamo alle gelate tardive o al problema delle cimici che hanno attaccato le pere. Nel comparto ortofrutta eravamo addirittura un paese esportatore, dovremo riorganizzare tutta la filiera. Però attenzione: bisogna rivedere anche come sono distribuiti i margini di guadagno lungo la filiera. Fino ad ora i produttori hanno sempre preso meno di tutti».
Questo inizio di crisi alimentare un po’ di paura la sta mettendo…
«La consapevolezza del ruolo fondamentale dell’agricoltura deve esserci sempre, non solo durante i momenti di paura. Gli agricoltori non possono essere costretti a lavorare per niente».
Carne e latte?
«Il problema sono il mangime e il costo dell’energia. A Vicenza, il 60-70% degli allevamenti non è autosufficiente per il mais. È aumentato da 20-22 euro al quintale a 40-42 euro al quintale. Non si va avanti con questi prezzi».
Esiste un piano di emergenza alimentare nazionale? L’Italia in cosa sarebbe potenzialmente autosufficiente?
«Voglio spostare ancora la domanda sul fatto che si siamo accorto solo ora che l’agricoltura è fondamentale e che dobbiamo pensare di essere il più possibile autosufficienti. Quello che abbiamo mantenuto in termini di produzione agricola e di allevamenti lo dobbiamo alle aziende che hanno resistito e che hanno investito. Ora si trovano bollette energetiche e spese fuori controllo. Ci sarà bisogno di rinegoziare i mutui, di ridare liquidità. Poi bisognerà finalmente incentivare l’energia prodotta dal biogas e dal biometano. Per fortuna, dalla settimana scorsa è possibile installare i pannelli fotovoltaici sopra gli stabilimenti agricoli con una semplice dichiarazione».
In meno di un mese di guerra il mondo globalizzato si è nuovamente congelato. Qui da noi nel Veneto come siamo messi?
«In Veneto l’agricoltura conta e potrebbe contare ancora di più. Per esempio supportando i prodotti locali dando loro la precedenze nelle mense, nelle scuole e negli ospedali. Questa fase di guerra ci sta mettendo sotto al naso la fragilità del nostro sistema alimentare. Dobbiamo sostenere le aziende agricole in questa fase impazzita, perché quelle che chiudono poi non riaprono più».
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