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Il mondo che vorrei

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Il mondo che vorrei

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Lorenzo Parolin e Giovanni e Giacomo Zonta

Gli autori del libro “Quasi cento anni” presentano a Bassanonet la loro pubblicazione

Pubblicato il 02-05-2010
Visto 5.733 volte

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Com’è nata l’idea di scrivere questa raccolta di racconti “in tandem”?

Giovanni: L’idea è partita da Lorenzo, ci conoscevamo dai tempi della mia prima pubblicazione (“Yvette” ed. Il Filo n.d.r.) ed avevamo già collaborato assieme ad un precedente progetto. Quando è arrivata la proposta di Quilombo di scrivere una raccolta di racconti ispirati ai temi dell’immigrazione e dell’emigrazione... il “tandem” è partito.

Giacomo Zonta Lorenzo Parolin e Giovanni Zonta


Lorenzo: Sì, io amo le sfide che propongono progetti di condivisione, trovo sempre positivo l’arricchimento reciproco che comportano. Da appassionato di jazz apprezzo molto il contributo che ogni strumento, allo stesso tempo indipendente e coordinato agli altri, può dare alla riuscita di un brano. Con Giovanni abbiamo lavorato così, con questo stile, senza ingerenze e per un progetto comune che ha dato molte soddisfazione ad entrambi. E’ stata preziosa anche la collaborazione con Giacomo, che ha contribuito a trasporre in un altro linguaggio, quello figurativo, l’argomento centrale della raccolta: il viaggio nel tempo e nello spazio, la migrazione.

“Quilombo ha ispirato e promosso la stesura delle narrazioni” cita il vostro libro, di che cosa si occupa l’associazione?

Lorenzo: La raccolta è nata a seguito di un input che è arrivato dall’associazione. Quilombo ha sede a San Nazario e propone percorsi di formazione molto validi rivolti soprattutto alle scuole, noi siamo stati in contatto in particolare con Alessandro Toniolo.

C’è scritto alla fine del libro anche “le narrazioni sono frutto di fantasia”: non c’è stata dunque la volontà di proporre una raccolta di testimonianze

Giovanni: Per quanto mi riguarda l’affermazione è quasi del tutto vera, ho scritto molto immaginando, facendo tesoro di ricordi e di narrazioni, mia mamma è originaria della Valsugana, e di ispirazioni tratte da autori che amo, sono un grande appassionato di letteratura americana del dopoguerra. Mi è piaciuta soprattutto l’idea di dare voce all’emarginazione, a quelle fasce sociali che per circostanze diverse vivono una condizione di difficoltà, di crisi, una categoria a cui assurdamente ai nostri giorni appartengono anche gli anziani.

Lorenzo: La frase è quasi d’obbligo per non incorrere nell’obbligo di dover circostanziare date, nomi, eventi, e non era questa l’intenzione prima dei racconti. Per quanto mi riguarda i miei scritti sono romanzati, ma contengono numerosi elementi di realtà. Ad esempio i personaggi di “Parigi. Dicembre” esistono, sono reali e contemporanei. Anche la città stessa che descrivo è quella che conosco bene, nel parlarne ho seguito anche le suggestioni dei racconti di mia nonna: nell’immaginario collettivo Parigi è rimasta quella dell’800, io la trovo un grande agglomerato di angoli parigini. Anche i protagonisti di “Quasi cento anni” e la loro ascesa al Grappa sono esistiti realmente.

Compaiono nella raccolta pochi nomi, pochi riferimenti espliciti al territorio, ben riconoscibili per chi è di queste parti, ma non per tutti: è una scelta intenzionale o dichiara la volontà di universalizzare temi e argomenti?

Giovanni: Si è trattato di una scelta intenzionale, personalmente ho lasciato comparire di tanto nei racconti in tanto nomi e descrizioni di luoghi ben precisi appartenenti alla Vallata, ma non è stata un’esigenza forte quella di connotare gli ambienti, la centralità l’hanno le storie.

Lorenzo: Ho lasciato di proposito le ambientazioni nel vago, tranne nei racconti che parlano di Venezia e di Parigi. Ho utilizzato stilisticamente quella sorta di indeterminatezza che appartiene più alla cultura giapponese che al nostro pensiero occidentale perché si prestava bene ad allargare i confini dei racconti.

E’ stato semplice far “uscire dal cassetto” i vostri racconti?

Lorenzo: Sì, abbiamo trovato subito apprezzamento e appoggio da parte di Attilio (Fraccaro n.d.r.). La dimensione del pubblicare, del “rendere pubblico” è interessante, la gente si avvicina e ti chiede riflessioni, commenti su temi importanti, non solo sulle storie che narri, sembra quasi che ti riconosca di più come “essere pensante”.

I racconti parlano di un passato recente, ma offrono un’opportunità di riflessione sui temi del futuro, ad esempio quando riportano a galla la nostra memoria perduta di emigranti, e si entra da lettori nella Casa d’Immigrazione in Brasile, o si rivive la tragedia della miniera di Marcinelle... si tratta di analogie scordate dalla gente?

Giovanni: Forse un po’ sì. Tra le righe c’è ben chiara questa volontà di riportare alla memoria una realtà che è appartenuta al nostro territorio, ai Veneti, fino a pochi anni fa.

E ricorrono le rondini, anche disegnate, è un richiamo costante alla naturalità della migrazione, vuole essere un messaggio di positività?

Giacomo: Con le immagini ho voluto rappresentare l’idea dell’andare che è comune a tutti gli esseri viventi. Ho scelto per i disegni piante ed animali che indicassero con la loro presenza e le loro azioni il volo, il cammino, l’ho fatto con l’intenzione di connotarli di significati: le formiche ad esempio con la loro coesione sociale sono l’emblema del popolo in marcia, le falene invece rappresentano con un volo scomposto verso il lampione la vacuità del miraggio, la corsa illusa verso un lume che non è il sole. Le rondini sono l’emblema stesso della naturalità della migrazione, seguono rotte invisibili tracciate dalla natura, compiono andate e ritorni stabiliti dal tempo e dalle leggi della sopravvivenza, viaggi incredibili non comprensibili né dirottabili dall’uomo.

La memoria sarà il tema centrale al prossimo salone del libro di Torino, è anche il filo conduttore di questo viaggio di quasi cento anni. Il recupero è prevalentemente attinto in Vallata. La comunità della città tende a non avere memoria? E’ reale questo “Tempo breve della pianura”?

Lorenzo: Sì, forse sì. Amo molto l’ambiente montano, la Vallata per le sue caratteristiche tende di più a difendere a conservare, la presenza del fiume che corre verso la pianura e di più, verso il mare, è uno sbocco aperto che dà luogo ad una vitalità che resta intatta e forte nel tempo.

Tra i racconti, in uno molto bello compare una volpe, quando da bassanesi si digita volpe+racconti+vallata, si pensa al racconto di Andrea Gastner, ma questa è un’altra volpe, altrettanto degna di essere narrata

Giovanni: Non conosco il racconto di Gastner, la mia volpe è più attinta dalle suggestioni della Trilogia della Natura. Mi piaceva l’idea di scegliere un animale predatore che per le sue caratteristiche di cucciolo perde la sua connotazione e diventa preda, lo utilizzo per simboleggiare una condizione mutevole. I passi di volpe, nel caso del mio racconto sono l’imprevedibile veicolo di un rapporto ritrovato tra un padre ed un figlio, riescono a dire in un ambiente dove regna l’incomunicabilità.

Lorenzo, in cosa differisce per te la scrittura narrativa da quella giornalistica? L’attività del giornalismo facilita un distacco efficace da osservatore che un po’ si percepisce tra le righe e che consente di lasciare parlare autonomamente le storie

Lorenzo: Il mestiere di giornalista ti consente di essere spesso in prima fila, mi è sempre ben chiaro che la mia posizione privilegiata di osservatore è per vedere bene e raccontare agli altri, ci mancherebbe che si dovesse far pesare al lettore l’elemento “io c’ero”. La narrativa ti permette di non avere gli obblighi di circostanziare ogni cosa e di individuare la “notizia”. I miei modelli stilistici restano Mario Rigoni Stern e Tiziano Terzani.

Giovanni, Nel tuo romanzo d’esordio, Yvette, hai descritto un mondo popolato da emozioni giovani, qui ti sei avvicinato allo sguardo alato dei nostri vecchi. Due prospettive diverse: una che dilata gli orizzonti, una che li restringe ma che scava in profondità

Giovanni: Sì, nei racconti sono spesso partito da altre prospettive, in particolare da quella del ricordo, poi ho sempre ricondotto le narrazioni al tema della giovinezza. Ho seguito un modello letterario che ho sempre apprezzato e che consente di intersecare più piani, di arricchire le storie di più punti di vista.

I vostri progetti futuri

Lorenzo: Stiamo lavorando assieme ad altre pubblicazioni collettive: un’altra raccolta scritta a più mani, una pubblicazione a tema musicale che uscirà a Natale e un altro progetto che parla del connubio “filosofia e bicicletta” in collaborazione con l’Università ed Ediciclo per il prossimo autunno.

Giovanni: Oltre che a questi progetti con Lorenzo sto lavorando ad un nuovo romanzo.

Giacomo: Mi è piaciuto questo tipo di collaborazione e di interazione di linguaggi. Anche l’ambiente con cui ti permette di venire a contatto mi incuriosisce molto. Penso che lavorerò ancora seguendo questa direzione.

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