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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Arte

Tra fiori chiari e oggetti allarmanti della Pop-Beat italiana

Sarà visitabile fino a fine giugno, a Vicenza, la mostra dedicata al mondo culturale degli anni '60-'70 curata dall’artista Roberto Floreani

Pubblicato il 12-03-2024
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Aperta lo scorso 2 marzo, sarà visitabile fino a fine giugno, a Vicenza, la mostra Pop/Beat, Italia 1960-1979. Liberi di sognare.
Ideata e curata dall’artista Roberto Floreani e ospitata nella Basilica Palladiana, l’esposizione ha come co-organizzatori il Comune di Vicenza e Silvana Editoriale.
In mostra, un centinaio di opere realizzate da 35 artisti di chiara fama o meno — a seconda delle intercettazioni un po’ occulte un po’ occultatrici del mercato. Solo un paio le donne, un dato interessante.

Pop/Beat, Italia 1960-1979. Liberi di sognare, a Vicenza

Provenienti dai principali musei, gallerie e collezioni private nazionali, le opere testimoniano, raccontate ed esposte, il sentire comune della generazione della Pop/Beat del bel paese, che hanno peculiarità ben distinte da quelle più note di matrice americana.
In un intreccio, si affacciano al percorso allestito in basilica opere artistiche, visive, poetiche, richiami letterari e naturalmente la musica che fu la colonna sonora di quegli anni e che corre intorno leggera nell’arca della basilica (ad accogliere: Pugni chiusi, Ragazzo di strada, il ritornello “mettete dei fiori nei vostri cannoni”…, tutto in tono).

Domenica 10 marzo, il curatore della mostra ha illustrato nel corso di una visita guidata le opere e il mondo di coloro che rappresentano anagraficamente parlando i nonni o più degli attuali ventenni (o reclute da Generazione Z che dir si voglia). Nel passaggio di testimone, dovrebbero degnamente e anche per legge di mercato diventare “i nuovi classici”.
Della portata culturale e artistica di quel movimento (che fu inconsapevolmente tale) si avvertono ancora forte la carica esplosiva, un afflato allegro e poi anche la natura di per sé sfuggente, dal respiro giovane e breve. In particolare negli scritti, nella poesia, se ne può ammirare la corsa sbrigliata, che in larga parte rima con il potenziale poco categorizzabile, poco “messo in riga” che esprime.
Per quanto attiene nello specifico alle arti figurative, l’arco di tempo scelto dal curatore si estende dal 1960 al 1979 — la morte di Aldo Moro (1978) a fare da emblematico spartiacque tra gli arcobaleni anche un po’ lisergici in cui ci si specchia in mostra e scenari da anni di piombo, con destini bui e temporali che seguirono.

Ad accogliere è Enrico Baj, affiancato da Mimmo Rotella, con la sua Cleopatra a coriandoli e il primo piano dell’Americano Gancia, quest’ultimo dichiarativo degli sguardi attenti ai prodotti commerciali degli artisti negli anni contraddistinti dal boom economico (più avanti si incontreranno coni gelato dall’effetto di madeleine, di Umberto Bignardi).
A confermare intuizioni e veggenze, anche sul rapporto già incrinato uomo-ambiente, in basso i tappeti-natura di Piero Giraldi, in piedi agli alberi e la giraffa di Gino Marotta, opere che propongono un’inedita commistione tra materiali industriali e verde. Un’ampia sezione è dedicata al “puma” Schifano (ci sono anche Tano Festa e Franco Angeli) le cui opere leggono la potenza della suggestione made in USA e dei suoi prodotti da paesaggio tv.
Le tecniche fotografiche e di stampa erano in pieno fermento in quegli anni e lo testimoniano diverse opere (dello stesso Schifano, alcune con effetti fané; di Tacchi, il ritratto di Paul Klee di Bruno Di Bello, i richiami concettuali alle macchine del cinema e agli schermi, come quelli di Fabio Mauri). Corse di energia, assi del futurismo e disequilibri, materiali da esplorare e gabbie poetiche (firmate Alik Cavaliere). Girovagando si incontra un trittico inedito di Alberto Mariani, che raffigura “oggetti allarmanti”, accanto un ritratto argentato di Giosetta Fioroni.
Il percorso della mostra si snoda tra opere molto diverse, tutte narratrici, molto interessanti, e sul finire fa la sua apparizione il genio che arrivò dal mondo dei fumetti (Valerio Adami). Un percorso di segnali stradali di Tino Stefanoni avvia al filmato che conclude l’esposizione: “Ostia dei poeti”, testimonianza del festival di Castelporziano del ’79, dove danze allegre e macabre sembrano ormai finite, annegate in un pentolone di pasta e fagioli, intorno gli spettri del terrorismo e delle droghe pesanti.

Il progetto espositivo è accompagnato da un nutrito ciclo di appuntamenti e di attività performative realizzati con le realtà culturali della città.
Il primo degli eventi collaterali, intitolato Randagi agnelli angeli fottuti, è stato proposto da Alessandro Manca, studioso e lettore del movimento underground di poesia in Italia degli anni Sessanta e della Beat Generation americana, autore dell’antologia I figli dello stupore (Sirio Film Editore), che ha riunito in un abbraccio da copertina tanti testi dell’epoca, alcuni introvabili.
Manca è stato accompagnato dal sax parlante di Massimiliano Milesi.
La definizione che mette in cornice i protagonisti del reading (Andrea D’Anna, Silla Ferradini, Gianni Milano, Aldo Piromalli, Carlo Silvestro), tra i “liberi di sognare” che vissero con arte quel ventennio, è presa dalle parole di Gianni De Martino — autore errante e alternativo, tra i fondatori della rivista "Mondo Beat", definito “uomo del rinascimento psichedelico e controculturale”.
Manca ha letto alcuni brani scelti facendo riecheggiare in basilica i colori, gli entusiasmi e le delusioni di scrittori (perché in quegli anni tutti scrivevano) che si trovarono appaiati e fratelli nel desiderio di superare le limitazioni imposte dalla società e dalla letteratura coeva.
Intorno, atmosfere e slanci di una generazione non compresa, “che volle scrivere come scelta radicale ed esistenziale, conquistando così territori di potenziale autonomia”.
Nelle parole degli autori beat circolavano amori pagani e panici, omaggi al potere della risata e agli dèi Caini raccattati per strada, imprecazioni forti, dolorose, e denuncia. Nello slancio vitale e creativo, nell’atto di sfondare gabbie e cancelli, nel desiderio di dis-affigliarsi, dis-articolarsi, messo da parte il rischio di dis-perdersi, “essi furono uomini”, è il verso che ha concluso la lettura.

La mostra vicentina sarà visitabile fino al 30 giugno dal martedì alla domenica, dalle ore 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17).
Per informazioni e dettagli: www.mostrapopbeat.it/.

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