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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Teatro

Il lamento delle città cadute

Andato in scena al Teatro Verdi di Padova nel fine settimana, unica tappa veneta in questa stagione, Troiane riletto da Angela Dematté

Pubblicato il 08-02-2022
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Elena Pavan

Andato in scena al Teatro Verdi di Padova nel fine settimana, unica tappa veneta in questa stagione, Troiane, celebre tragedia di Euripide, è stato proposto nell’adattamento e nella traduzione dell’attrice e drammaturga trentina Angela Dematté.
La produzione firmata Centro Teatrale Bresciano ha visto come interpreti Elisabetta Pozzi nei panni di Ecuba, Federica Fracassi (Cassandra), Francesca Porrini (Andromaca) e Alessia Spinelli (Elena), con Graziano Piazza nel ruolo del messaggero nefasto Taltibio.
La scena costruita da Matteo Patrucco ha privilegiato il nero e il grigio, colori da prigionia che caratterizzano anche i costumi di foggia moderna, quelli dimessi che si immaginano di un eterno dopoguerra creati da Ilaria Ariemme. Alcune porte si aprono nelle pareti e da queste entrano le donne di Troia sconfitta, precedute da una pioggia di cenere e fogli bruciati piovuta dal cielo. Ecuba è prostrata a terra, come dice il drammaturgo dell’antichità, le altre donne stanno in angoli della stanza: Andromaca con il figlio Astianatte in braccio avvolto in un telo grigio vicino a un letto (accanto c’è un water da cella); Elena seduta in poltrona con un lecca-lecca in bocca davanti al pc; Cassandra vagante per la stanza, nel suo assetto un po’ Baccante un po’ oltre l’orlo di una crisi di nervi.

da Troiane, tratto da Euripide, con Elisabetta Pozzi

Il fatto di cronaca è consumato solo in parte, Troia-la città è caduta e alle donne viene prospettato dal messaggero il destino tragico che le attende. Nessun atto pietoso per gli sconfitti, la prospettiva, la soluzione finale, è l’annientamento di ciò che queste donne rappresentano anche grazie ai loro compagni e mariti: la civiltà, l’eroismo, il potere donato dagli dei, quindi l'attitudine a un governo volto al bene. Ecuba, una Elisabetta Pozzi che non fa del lamento la cifra del suo personaggio, invita ad alzare la testa le sue compagne sventurate alle quali i vincitori hanno riservato una sorte di dolore e di umiliazione. Se Cassandra e Andromaca reagiscono impazzendo, ed è pur sempre una reazione che parla di sottrazione dalla punizione che viene loro inferta, Elena accusata di essere la causa di tanto male davanti al pc acceso appare quasi indifferente, ma in realtà amplifica il dolore che è di tutte allargandolo a un coro, un corteo di volti femminili che appare affacciato sullo schermo del fondale nelle finestrelle da piattaforma virtuale che ben abbiamo imparato a conoscere in questi tempi. Sotto e sopra l'immagine scorre il testo scritto in greco e in italiano a evocare con caratteri mobili la bellezza e il canone letterario dei versi euripidei qui reinterpretati attraverso una successione di monologhi e quindi oggetto di una sorta di consapevole snaturamento.
Il teatro della polis chiama in causa lo spettatore attraverso le voci in pianto di queste donne troiane che raccontano una storia ben nota appartenente all’antichità, ma che potrebbero essere le protagoniste di tanti altri drammi che si sono consumati e si continuano a consumare spesso nell’indifferenza generale attorno a noi. Musiche a luci, a cura rispettivamente di Daniele d’Angelo e di Cesare Agoni, sottolineano i momenti più drammatici dei racconti che si alternano sul palco che parlano di sopraffazione, di umiliazione, di stupro di corpi e di sentimenti.
Piace la misura che adotta Elena Pozzi nel dare voce alla grande madre Ecuba, alla regina di Troia e al suo lamento di fronte a così schiaccianti disgrazie. Piazza interpreta Taltibio facendone un messo carico di ambiguità: a tratti partecipe, a tratti un burocrate impegnato freddamente ad adempiere ai comandi dei vincitori.
Caldi applausi, dal pubblico in sala.

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