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Laura Vicenzi
Giornalista
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Una recensione di Morte di un commesso viaggiatore inviata dal critico letterario Marco Cavalli. Singleman è l'antenato assoluto dell'homeworking
Pubblicato il 22-03-2020
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La recensione del critico letterario Marco Cavalli, che ringraziamo per la rinnovata collaborazione con la nostra rubrica, di Morte di un commesso viaggiatore (Einaudi, 1997, traduzione di G. Guerrieri, 123 pagine, euro 10,20). Un capolavoro firmato da Arthur Miller andato in scena per la prima volta a New York nel 1949, per la regia di Elia Kazan, che rappresentò un clamoroso successo teatrale nel dopoguerra. Al cinema, Dustin Hoffman nel 1985 è stato un interprete magnifico di questo dramma di Miller. A teatro, le ultime rappresentazioni portate in scena in ordine di tempo e di vicinanza al nostro territorio hanno avuto come protagonisti a Verona Elio De Capitani e a Padova Alessandro Haber (qui una recensione bit.ly/2IPsglG).
Il primo lavoratore a distanza della civiltà capitalistica, l’antenato assoluto dell’homeworking, si chiama Dave Singleman. E poteva chiamarsi altrimenti? Singleman è un personaggio la cui fama non è legata al nome che porta. Naturalmente americano, è un’invenzione del drammaturgo Arthur Miller, che ha fatto di lui il protagonista di Morte di un commesso viaggiatore.

Tutti quelli che hanno letto il capolavoro di Miller o ne hanno visto una messinscena a teatro sono convinti che il venditore di piazza citato nel titolo sia Willy Loman, il piccolo newyorkese che dal febbraio del 1949 (data della prima rappresentazione del dramma) ha sparso per il mondo un’innumerevole progenie, letteraria e non. Invece il vero eroe di Morte di un commesso viaggiatore è Singleman. È a causa di costui che Willy Loman si inchioda con le proprie mani alla croce del sogno americano. Quando il fratello Ben, diventato miliardario per caso dopo essere finito nella giungla amazzonica credendo di dirigersi in Alaska – quando Ben, arricchitosi, fa visita a Willy e gli chiede di seguirlo e di abbandonare il mestiere di piazzista, Willy, pur tentato di acconsentire, gli risponde brandendo come uno stendardo la leggenda di Singleman, il commesso viaggiatore ormai in età avanzata che dall’appartamento di casa, usando il telefono, raggiunge i clienti ovunque si trovino continuando così a fare il suo lavoro.
La storia di Singleman è narrata nel frangente del dramma che precede il licenziamento di Willy Loman e la sua risoluzione a suicidarsi per far sì che la famiglia incassi il premio dell’assicurazione. Ormai allo stremo, nell’impossibilità di riavere l’affetto e la stima dei figli e di rivelare la propria disperazione alla moglie Linda, Willy va da Howard, il titolare della ditta per cui lavora da trentaquattro anni. Ci va per implorarlo di trovargli un posticino in ufficio, una sistemazione che gli assicuri uno stipendio minimo e soprattutto gli consenta di smettere di viaggiare. Di fronte alla riluttanza del capo, Willy gioca il suo asso, e racconta a Howard:
“Io ero un ragazzo, avevo diciannove anni. Avevo cominciato a lavorare e non sapevo neanche se fare il commesso viaggiatore mi avrebbe dato un futuro perché a quell’epoca avevo una mezza idea di andare in Alaska… Ero quasi deciso ad andare quando incontrai un rappresentante della Parker House. Si chiamava Dave Singleman. Aveva ottantaquattro anni, era stato rappresentante in trentaquattro stati. Dave saliva in camera sua, si infilava le pantofole di velluto – non lo dimenticherò mai – e cominciava a telefonare ai clienti. E senza mai lasciare la sua stanza, a ottantaquattro anni, si guadagnava da vivere. Quando vidi questa cosa, capii che quello era il mestiere ideale cui si potesse aspirare. Che c’era di più gratificante di poter andare, all’età di ottantaquattro anni, per venti o trenta città diverse, prendere un telefono ed essere riverito, amato e aiutato da tutte quelle persone? E quando morì, e fu proprio la morte del commesso viaggiatore con le sue pantofole di velluto, nel vagone ristorante del treno che da New York andava a Boston, al suo funerale ci andarono centinaia di colleghi e di clienti, e la sua mancanza si sentì per parecchi mesi.”
Willy Loman non riuscirà a emulare Singleman nemmeno post mortem. Al suo funerale presenzieranno solamente i familiari e i vicini di casa, tra cui Charley, l’amico generoso e comprensivo che ha sempre aiutato Willy nei momenti di difficoltà e al quale Miller fa pronunciare la battuta più cinica e profetica: “L’unica cosa che vale a questo mondo è quello che puoi vendere”.
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