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La figura di Toniolo in un libro del vescovo di Assisi
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Un buon lavoro culturale
A fine anno, nel delirio di celebrazione dei prodotti culturali 2012, una bella lettura che indaga i retroscena di questo strano tipo di lavoro: il lavoro culturale
Pubblicato il 31-12-2012
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Com’è bello Il lavoro culturale. In questa fine d’anno dove è quasi un obbligo l’assemblaggio di elenchi a mo’ di classifica su “il libro più bello del 2012”, “lo spettacolo più bello del 2012”, “il disco più bello del 2012”, “il film più bello del 2012”, e chi più ne ha più ne metta, se capita fra le mani un testo così – “a metà tra il pamphlet e il saggio di costume”, indica la quarta di copertina del libro di Luciano Bianciardi – ma che in realtà offre soprattutto una narrazione di come procede il moto perpetuo da catena di montaggio del lavoro culturale, si capisce quanto sia molto più interessante indagare i processi più che i prodotti di questa strana industria che tutti pratichiamo perlopiù solo da acquirenti.
Si resta stupiti di quanto poco, o niente, sia cambiato in Italia in cinquant’anni. La prima edizione del libro è del 1957: nel primo capitolo un gruppo di giovani di Grosseto in rivolta contro gli accademici e gli archeologi che imprimono una lettura vecchia e parziale al loro piccolo mondo non solo antico, si affannano a controbattere precetti e ideologie e rivolgono lo sguardo alla città nuova, a quella periferia bistrattata che avanzando fa attecchire nuove genti e nuovi traffici che tessono reti imprevedibili. La periferia, non il centro storico, diventa un non-luogo comune, mondiale, ed è un campo di osservazione di prim’ordine priva com’è di “tradizioni, di ubbie passatiste, di tabù sociali”.
Esistono due Italia, dice Bianciardi, è c’è voluta la guerra per farcelo capire: da una parte c’è l’Italia dei contadini, quelli che lavorano e poi fanno le guerre; dall’altra c’è l’Italia del signor generale, del vescovo, del federale. Per operare un cambiamento occorre intraprendere un lavoro culturale. I ragazzi si guardano subito attorno in cerca di materie prime: trovano il cinema, che è un mezzo espressivo popolare, e fanno nascere un cineforum, dei festival, tante iniziative che attirano gente e che creano un gran fermento ma che presto approdano in una palude di tasse e di debiti da pagare; guardano all’istruzione e alla scuola, cercano l’alleanza coi docenti e trovano solo un coro di anime che si lamentano del precariato e dell’essere trattati come braccianti stagionali; si rivolgono ai libri, ma “in Italia la crisi del libro è complicata dal fatto che moltissimi scrivono e pochi leggono” e allora i ragazzi cercano rimedi, provano ad animare con una serie di proposte (dibattiti, inchieste, incontri a tema, approfondimenti) la biblioteca comunale, e anche qui il primo passo che compiono è la costituzione di un comitato che predisponga il programma delle attività e che nomini un suo esecutivo.
Ebbene sì, è un vero e proprio lavoro, un lavoro che necessità anche della creazione di un proprio linguaggio, un linguaggio culturale (capitolo assolutamente da leggere, è la parte più spassosa del libro).
Queste pagine degli anni ’50 trasudano di un entusiasmo e di un impegno giovani, genuini, che invitano all’investimento. Da tenere sul comodino del 2013 con un augurio a tutti di un buon lavoro culturale.
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