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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Nella fabbrica di Simone Filippini
Martedì 30 gennaio, alla Libreria Palazzo Roberti, Simone Filippini presenterà il suo esordio letterario
Pubblicato il 27-01-2024
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Alla Libreria Palazzo Roberti, martedì 30 gennaio ci sarà la presentazione del libro d’esordio nel mondo letterario di Simone Filippini, che porta il titolo: La fabbrica del diavolo (Sonzogno Edizioni).
Millennial nato e residente a Marostica, Filippini nel mondo senza tende dell’incontro virtuale si espone con qualifiche tutte attinenti alla scrittura e al mondo della comunicazione (Scriptwriter, Copywriter e Content Creator, attualmente collabora come free lance con varie realtà attinenti al settore).
Come tanti altri giovani dei nostri tempi, si è aperto da solo, con competenza e saggezza, un’autostrada per la notorietà attraverso un canale TikTok, un non-luogo popolato da oltre centomila follower, lì come su altri social annessi, dove si presenta come GrammaticoAntipatico. L’alias è creato ad arte e per niente antipatico in realtà — non è superfluo sottolineare che in video (e di persona) Filippini si presenta con una buona dose di “telegenia”, elemento che non guasta mai, utile anche ai “prof”. Dalla finestra spalancata online, da un anno all’incirca dispensa simpaticamente pillole-video che contengono suggerimenti di carattere letterario, insieme a consigli utili per la scrittura, l’amalgama di ingredienti confezionato con cura e passione.
Simone Filippini
Tutto il quadro, lasciando da parte l’attrito anglofono, parla di un amore autentico per l’Italiano, per la nostra bella lingua, parlata e scritta. Sempre online, si apprende che accanto agli studi di matrice umanistica Filippini ha coltivato in parallelo un’amicizia di quelle che non se ne va col tempo, che ha per oggetto la musica: gli piacciono i Beatles, ma anche l’heavy metal e il funk; suona la chitarra — in passato da solista in un gruppo. Nel 2009, appena maggiorenne, ha fatto parte del “Rockquiem” (progetto diretto da Elisabetta Maschio che ha proposto una rivisitazione in chiave moderna del Requiem mozartiano); ora è docente di strumento per una scuola di musica di Marostica.
Tra le altre note caratteristiche: è un appassionato fruitore e descrittore di film e di prodotti realizzati per il piccolo schermo, in particolare è di suo gusto il genere horror.
L’approdo alla pubblicazione di un libro è una tappa importante per Filippini, che da più parti ha dichiarato e continua a dichiarare anche al di fuori della sua community un amore di quelli che nascono da bambini e che crescono poi intrecciati a elementi costituzionali per le storie, per la narrazione.
Il libro uscirà in concomitanza con la presentazione, l’arrivo sugli scaffali è annunciato per il 30 gennaio. Una domanda scontata e antipatica: di cosa parla?
Nel libro ho provato a far interagire il genere del giallo con il romanzo di formazione: parla di una realtà italiana, veneta, collocata in un periodo che erano i primi anni del Duemila. In particolare la storia che racconta è ambientata nel 2004 e ha come protagonista un gruppo di tredicenni. Tra questi, il personaggio principale è un ragazzino di origini afro-americane immigrato a Marostica dal Canada, che si trova a dover fare i conti con una lingua, una cultura, una società diverse da quelle che aveva conosciuto fino a quel momento — quest’ultima, una comunità non sempre accogliente, che si sta però accingendo a percorrere nuove strade per diventarlo. A un dato punto è entrata in campo una componente mistery, che da amante di Stephen King ho introdotto con piacere: insieme ad alcuni amici, quel ragazzino si trova a essere casualmente coinvolto nelle indagini su una serie di delitti di stampo esoterico che scuotono l'intera provincia, e a dover affrontare dei rischi inattesi.
L’esperienza quotidiana di contatto con una scrittura di tipo utilitaristico, strumentale, legata a filo stretto con l’aspetto commerciale, ha aiutato od ostacolato il processo creativo che ha portato a compimento il libro?
Di sicuro ha aiutato tantissimo. Del resto, come diceva King, per imparare a scrivere bisogna scrivere, non ci sono altre strade da percorrere. La necessità di doversi confrontare ogni giorno con le parole, l’opportunità di poter continuare a esplorare la funzione dei ritmi narrativi e le regole della sintassi, non ultimo il lavorio quotidiano sulle sceneggiature, che hanno come caratteristica una certa asciuttezza nell’espressione — è un po’ quella che ricerco nel mio stile — sono esercizi utilissimi.
L’esplorazione che continui a fare, anche a favore di chi ti segue, di altri linguaggi narrativi (quello del cinema, pure quello dell’animazione) in quali aspetti ha aiutato nella scrittura?
Il mio approccio con il libro che ho scritto ha seguito in parte i dettami di una sceneggiatura: ho cercato uno stile molto visivo, che riuscisse a far “vedere” al lettore il più possibile le vicende che tratta. Mi piacciono molto le metafore che hanno un carattere evocativo, che riescano a lasciare impresse oltre alle parole anche delle immagini in chi legge e ho cercato di servirmene in diversi passaggi. Il cinema è un grande amore che continuo a coltivare, rivolgo anche a questo tipo di arte, ai tipi di linguaggio che hanno a che fare con i meccanismi del montaggio e l’animazione, la mia ricerca di una direzione nello stile, nella scrittura.
C’è anche della musica, in questa “opera prima”?
C’è sicuramente della musica, ci sono dei riferimenti, delle citazioni, utilizzati perlopiù per caratterizzare i personaggi e l’epoca in cui si svolgono i fatti, l'età dei ragazzini protagonisti coincide con la mia in quegli anni. Con la musica ci lavoro da diversi anni, fa parte della mia vita, ma sicuramente nel libro prevalgono i riferimenti al cinema, alla letteratura e alla lettura.
E ci sono dei Maestri, degli scrittori che in qualche modo hanno indicato la strada, dal punto di vista dello stile?
Amo molto la letteratura americana, anche per il tipo di prosa da cui è generalmente connotata, più frammentata di quella europea. Al suo interno, mi piace leggere autori molto diversi: Harper Lee, per fare un primo nome — Il buio oltre la siepe è il mio libro preferito, e c’è qualche aspetto ispirato a quest’opera nel mio romanzo; poi Mark Twain, un libro che rileggo sempre è Le avventure di Huckleberry Finn; mi piacciono molto tra gli altri i libri di John Steinbeck, di Ray Bradbury, quelli di Joe R. Lansdale... e a proposito, sono onorato di avere avuto la possibilità di avere la copertina disegnata dall'artefice di quelle nelle nuove edizioni Einaudi dei libri di Lansdale: l'illustratore Giordano Poloni. Tra gli italiani ho sempre apprezzato tanto Italo Calvino; con lui Cesare Pavese, ho riletto da poco La luna e i falò, un libro appassionante.
Riguardo alla scelta di adottare un punto di vista adolescenziale per guardare il mondo, un mondo pieno d’ombre: in scena c’è la difficoltà di crescere.
Il gruppo di ragazzini che ho messo in scena affronta la crescita e le sue problematiche in modo essenzialmente corale, la conoscenza tra loro avviene fisicamente, per strada, come accadeva a quell’epoca, precedente l’avvento degli smartphone. C’è qualche aspetto autobiografico nel racconto che faccio su di loro, in particolare nel protagonista, che è un ragazzo fragile, pavido, dubbioso, che affronta la vita con un bagaglio di insicurezze ragguardevole, e lì in parte mi rispecchio. C’è poi una ragazza, Sara, estremamente intraprendente e coraggiosa; l’altro amico, Andrea è sicuro, estroverso. Ciascuno mette in luce una sua peculiarità e tutti insieme riescono a superare ogni ostacolo, perché in gruppo riescono a mettere a frutto le loro qualità e a farle interagire. La parte corale in un momento così delicato come quello della crescita è fondamentale. Nei nostri anni, in cui l’aggregazione ha assunto in prevalenza delle modalità virtuali, vedo una fragilità maggiore nei ragazzini, da questo punto di vista. Quella attuale è una generazione fantastica, ma forse paradossalmente ha meno strumenti per interagire, per relazionarsi faccia a faccia con le persone, e quindi meno opportunità di riuscire a formare alcuni aspetti basilari del carattere.
I social restano un terreno indefinito, nelle loro accezioni di elasticità, di rimbalzo, ma anche nelle connotazioni che riguardano il tempo, la durata. Come hai deciso di procedere nel loro utilizzo?
Molto sinceramente, la mia intenzione è sempre stata quella di dedicarmi alla scrittura. Ho deciso di espormi sui social per avere una carta in più per farmi conoscere, per farmi notare. È iniziato tutto un po’ per gioco, ma ho avuto subito dei riscontri anche in termini molto sorprendenti, quindi mi sono detto: perché no? Parlare di letteratura mi piace, le persone dimostrano di gradire quello che pubblico e i contenuti che creo e allora ho continuato. In breve, comunicare attraverso i social è diventata una routine. Con l’esercizio poi naturalmente si migliora, e anche in questi termini si promuove una crescita di competenze, sempre inerenti alla socialità e alla scrittura.
Qualche progetto che guarda al futuro? La sceneggiatura è interessante o c’è un altro libro nel cassetto?
C’è un altro libro pronto nel cassetto, un horror, sempre con la stessa contaminazione con il romanzo di formazione; oltre a questo c’è un altro progetto in via di costruzione. Continuerò naturalmente anche i miei lavori con la sceneggiatura.
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