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Laura VicenziLaura Vicenzi
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Teatro

Quando a dire tutto è un nonnulla

Martedì 29 marzo, la rassegna “È ora di teatro!” ha ospitato Pour un oui ou pour un non, nell’interpretazione magistrale di Umberto Orsini e Franco Branciaroli

Pubblicato il 31-03-2022
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Elena Pavan

Martedì 29 marzo, il Teatro Remondini per la rassegna “È ora di teatro!” ha ospitato Pour un oui ou pour un non, di Nathalie Sarraute, nell’interpretazione magistrale di Umberto Orsini e Franco Branciaroli. La produzione firmata Compagnia Orsini, Teatro de Gl'Incamminati, Centro Teatrale Bresciano, ha fatto tappa in città portando in scena un testo che va per il sottile, che guarda allo spazio fatto di echi che orbita attorno a un sì o a un no — la traduzione dal francese non restituisce il giusto dire — e mette al centro l’incomunicabilità che connota i rapporti umani e le relazioni tra le persone.
Diretta dal grande Pier Luigi Pizzi, che ne ha curato anche l’allestimento, questa commedia amara che parla delle insidie che si annidano in un’amicizia di vecchia data (il finale non va svelato) si snoda come un ballo di quelli a cui è sconosciuta l’improvvisazione, il piacere del ballo innamorato di una scacchiera.
La scena si apre in un bel salotto-studio dalle pareti buie arredato con oggetti di design; intorno torreggiano alte librerie colme di volumi e un divano rosso non a caso è posto al centro della stanza; i due re neri si affrontano sul terreno del dialogo e le parole sono nemiche più dei fatti, con le loro intonazioni ambigue, con gli spazi di silenzio che si insinuano dove non dovrebbero creando fratture che col tempo diventano crepacci.

Franco Branciaroli e Umberto Orsini in scena (foto di Amati-Bracciardi)

L’uno (Branciaroli) tra le righe chiede ragione all’altro (Orsini) del suo allontanamento, e dopo una serie di “niente” che dicono niente la spiegazione si fa strada con l’arrivo di una parola precisa che dovrebbe dar ragioni del grande freddo che ha congelato l’amicizia che intercorreva tra i due: la parola, scritta sul muro di casa col gesso e a caratteri cubitali da Orsini è “degnazione”. Branciaroli non capisce o finge di non capire cosa ha ferito l’amico e a sua volta lo accusa di essersi offeso per un nonnulla, di essere quindi un geloso, e come tutti gli ammalati di gelosia condannato a ingigantire ogni evento, anche solo una pausa di sospensione, un’inflessione della voce, un accenno di silenzio. Una parola che non viene scritta sul muro-lavagna, ma che si legge chiara man mano che procede il dialogo tra i due è però un’altra: rancore. Tra i due ex-amici la ferita parrebbe sanabile, e i due attori sono bravissimi a far emergere quello che scorre sotto la superficie, la corrente d’affetto profondo e di stima che deve esserci stata e che forse ancora c’è, viva sottopelle. I loro movimenti sul palco dicono però altro: i due si evitano, si alternano nelle posizioni che assumono in scena, il gioco è un gioco al massacro. Verso il finale gettano insieme uno sguardo oltre la finestra, dall’esterno giunge una musica che sa di vita vera, ma poi tornano a comandare le parole e finisce che si cita Verlaine, e allora si torna a duellare, fino all’affondo che scrive la parola fine.
Il testo è molto raffinato, ha anche dei momenti di comicità che inducono il pubblico in favore di complicità a parteggiare per l’uno o per l’altro, e poi in definitiva per tutti e due. È grande la maestria di due attori di grande esperienza come Orsini e Branciaroli, capaci con apparente naturalezza e tanta misura di imprimere la fluidità e i giusti toni necessari allo spettacolo.
Poco più di un’ora accomodati tutti in poltrona in quel salotto, un soggetto che per metà sa di vita reale e per metà di teatro dell’assurdo, due grandi interpreti diretti da un vero artista: è gran teatro.

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