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Connessioni Contemporanee

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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Libri

Modalità lettura 1 - n.13

Una recensione di Le consapevolezze ultime, di Aldo Busi, in un'attualità in cui l'invito alla consapevolezza e al coraggio delle proprie opinioni cresce in un acuto

Pubblicato il 07-06-2020
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Le consapevolezze ultime (Einaudi, 2018, pagine 137, 15 euro) è l’ultimo libro, in ordine di tempo, scritto da Aldo Busi. Insieme a una rosa di altri otto libri ha fatto parte dell’elenco dei titoli consigliati dal coordinamento regionale per i Gruppi di lettura in Veneto nella stagione 2019/2020.
L’occasione per pensarci/ripensarci ma senza quelli che si dicono ripensamenti, a queste consapevolezze, è rappresentata da una cena dal menù con pretese luculliane che non può che andare di traverso allo Scrittore — il personaggio che dice “io” tra le pagine — dato che vorrebbe fare ingoiare molto altro, oltre alle portate dall’aspetto invitante presentate alla “Masterchef”. Lui è la pecora nera invitata a pascolare insieme a un gregge di politici, industriali e figurine sbilenche che completano l’album qui lombardo del potere vincente, tra le pagine profumo di soldi (di cosa sanno i bitcoin?) e di stracotto d’asino. Da parte loro, i commensali convenuti in villa brucano senza fare dei distinguo altri esseri umani e «feikniù».
Indignazione e sdegno affiorano nello Scrittore invitato al simposio de noialtri che Busi rende del tutto greco, esploderanno poi in modo ineluttabile, ma per un po’ rimarranno occhielli di grasso in un consommé non filtrato sorbito rumoreggiando occhi negli “occhi”, non per farselo piacere, ma per riconoscerne gli ingredienti fino in fondo e bandirne anche le briciole dalla propria tavola onesta. Ma questa è una consapevolezza prima per Busi.

Aldo Busi

La consapevolezza ultima è che tout se tient, che non è proprio “i conti tornano”, ma “tutto convive” — bellezza e orrido, bontà e delitto, rispetto e offesa. Ciò dissolve il miraggio dell’uomo che non vede, che non sente, e soprattutto che non parla che incuriosisce e affascina enormemente lo Scrittore. Si tratta di una presenza che gli è impossibile ignorare, tanto enigmatica da invitare all’enigmistica; è un navigatore muto e immobile, un idolo dell’infecondità, uno che pare decidere che “questo” lui non è, ma tacendo rende tutto ciò illeggibile. Guardando a questa tipologia di essere vivente che fa di un’aura misteriosa e del non detto la sua cifra, viene da chiedersi: sarà costui un vivo sano (sancito, separato) che rifiuta alla sua tavola le pietanze e i calici dolceamari della convivenza umana, o è solo un morto in vita?
La consapevolezza certo non ultima dello scrittore è affermata, chiara, impressa nero su bianco in queste e in mille e mille pagine precedenti a queste, mondate da interventi da editor: la parte del tout se tient che si può con tanto lavoro e fatica ambire a governare, quella del linguaggio, «… sarà il mio modo di stare al mondo delineando pure in giri di parole, per arrivare ovunque, ma senza troppe sbavature, i giri impressi dalle folgori del dialetto, dove sto e dove non sto», questo scrive Busi, e i temi di attualità che attraversa nel libro sono una costellazione dove a brillare come un Sole è la consapevolezza d’uso, tesa al bene, del linguaggio.
Un libro autoreferenziale, personalistico, affermano alcune critiche: dove? L’unico sguardo importante, prestato con generosità da colui che scrive, è quello di chi legge — e che sorpresa: c’è anche uno sguardo ricambiato.
Quanta vita c’è qui dentro! Tutti quei nati da donnine, donne-donne e va’cché, la maggior parte produttori di repliche dell’evento per i quali i conti anche se non tornano tornano sempre, che convivono giocoforza vicini-vicini, appesi al filo della penna (si fa per dire) e dei pensieri dello scrittore: che ci provi qualche altro, a non far scatenare la guerra dei mondi tra personaggi-mondo come Jole, Palmira, Magdy-per-gli-amici, Teresa, Britney Spears, la bambina annegata — personaggi uomini, il narratore a parte, non ne tornano in mente. Eppure: «È invenzione», direbbe, se dicesse, l’idolo immobile. Magari! «Questo è. Tiè».



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