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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

Ritratto d’autore

Il professor Domenico Patassini, già docente allo IUAV di Venezia, ricorda con una nota il suo collega e amico scomparso l’altro ieri, originario di Marostica come lui: “Progetto come filosofia pratica, l’insegnamento di Sergio Los”

Pubblicato il 08-11-2024
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Brassaï. L’occhio di Parigi

La foto che vedete pubblicata in questo articolo genera l’immediata percezione dell’immagine datata, rispetto alla risoluzione fotografica degli odierni smartphone e delle attuali fotocamere digitali.
Risale infatti al 27 maggio 2013 e l’ho recuperata in quel solito e inesauribile forziere della memoria che è l’archivio degli articoli di Bassanonet, a cui si accede dall’indice degli argomenti. Ritrae il professor Sergio Los e il professor Domenico Patassini, entrambi docenti allo IUAV di Venezia, al tavolo della Libreria Palazzo Roberti in città.
La foto era stata scattata nel corso della presentazione in Libreria del libro di Los “Geografia dell’architettura. Progettazione bioclimatica e progetto architettonico”, a cui in quella occasione la nostra mitologica Laura Vicenzi, curatrice del canale Cultura di Bassanonet, aveva dedicato un suo articolo.

Sergio Los e Domenico Patassini (archivio Bassanonet)

Ho cercato e rintracciato questa immagine ormai storica perché il professor Patassini, oggi in quiescenza dall’insegnamento universitario, accademico olimpico, che è originario di Marostica come il professor Los, ha trasmesso alla nostra redazione una sua nota in ricordo del suo amico e collega, scomparso l’altro ieri notte all’età di 90 anni come già riferito nel mio precedente articolo “Il progetto di una vita”.
Ne emerge un intenso ritratto, umano e insieme accademico, che pubblichiamo volentieri anche per l’autorevole firma del suo autore.

Progetto come filosofia pratica: l’insegnamento di Sergio Los.

Nella sua lunga vita di ricerca, insegnamento e progetto Sergio Los si è sempre posto un quesito molto semplice, ma dalle molteplici implicazioni: come l’essere umano può organizzare il suo modo di vivere e relazionarsi in ecosistemi specifici.
Egli partiva dalla convinzione che l’essere umano fosse un ‘prodotto ecosistemico’ e che il nostro pianeta fosse un ricco e complesso ‘laboratorio di progetto’, un ‘laboratorio geografico’.
Per rispondere a questa domanda egli seguiva un percorso molto rigoroso, che riusciva a tenere insieme razionalità e creatività, approccio scientifico e umanistico, in sintesi: analisi e progetto. Cercava di capire i comportamenti dell’essere umano nello spazio, li connetteva ai contesti ambientali e geografici, ne modellizzava le relazioni.
Sergio era un raffinato modellista (in senso logico-formale e materiale) e con l’aiuto di questi modelli costruiva le sue interpretazioni. Per lui, il progetto non era invenzione, ma interpretazione: lenta, progressiva, incrementale.
Ogni progetto aveva i suoi ancoraggi di contesto, maturava per ‘figure’ successive e coerenti (in questo era molto vicino a Carlo Scarpa). La ‘figura’ aggiornava il rapporto con il contesto e offriva l’opportunità di passare da una scala all’altra senza contraddizione. Questo modo di procedere contribuiva a rendere l’azione progettuale ‘trasparente’ e motivata: in ogni passaggio si riuscivano a scorgere quelli che potremmo chiamare ‘spunti di pertinenza’.
Il progetto non aveva bisogno di confrontarsi con le ‘scuole’ presenti nel panorama architettonico e urbanistico, né cercava una legittimazione altra da sé stesso.
Ciò complicava un po' la vita a Sergio, soprattutto quella accademica, in cui
l’‘appartenenza’ contava più del ‘pensiero critico’.
Con mezzo sorriso, Sergio amava dire che era più importante la ‘geografia dell’architettura’ rispetto alla ‘storia dell’architettura’.
In tempi non sospetti (nel 1972 era stato appena pubblicato il rapporto sui Limiti dello sviluppo da MIT/Club di Roma) il carattere geografico della sua architettura lo avvicinava ai temi energetici e della sostenibilità, in una parola alla nostra grande stella: il sole. Per il Ministero dell’Università, il Cnr e l’Enea definì metodi e strumenti per la progettazione di architetture sostenibili, a scala edilizia e urbana.
In un programma di cooperazione Italia-USA, e poi a livello CEE, sviluppò sistemi solari passivi, ottenendo il Pioneer Award dal WREC (World Renewable Energy Congress) per i contributi nel campo delle energie rinnovabili e quindi il Premio Europeo Eurosolar alla carriera, a Berlino.
Ma nonostante i notevoli riconoscimenti internazionali (solo in parte noti nel nostro paese), Sergio ha mantenuto un rapporto privilegiato con Marostica, la sua città natale: fu progettista del primo Prg di metà anni ’60, realizzò la ‘scuola solare’ di Crosara, fino ad impegnarsi per la stesura del nuovo piano particolareggiato del centro storico (predisposto con Natasha Pulitzer qualche anno fa).
Diversamente da altri urbanisti e architetti, considerava Marostica una ‘città peculiare’ (almeno nella parte storica), proprio per una leggera inclinazione dell’impianto romano, normalmente ortogonale.
La deformazione era forse attribuibile all’insediamento precedente attestato su una leggera altura che guardava alle paludi a sud: in accadico, la radice mar significa appunto ‘altura’.
Anche a Bassano del Grappa ha lasciato tracce cospicue e sedimentate.
L’ultima riguarda la motivata critica al recente restauro del Ponte Vecchio, pubblicata da Illustre Bassanese nel 2018: critica basata su una lettura semiotica e statica del progetto di Andrea Palladio del 1570.

Buon viaggio caro Sergio

Domenico Patassini

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