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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it

Special report

Imprese

Economia giudiziaria

I grandi temi attorno alla questione del Tribunale della Pedemontana. Efficienza, digitalizzazione e organici. L’analisi dell’esperto del CNR Davide Carnevali (Consiglio Nazionale delle Ricerche)

Pubblicato il 01-06-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Cosa significa per un territorio sempre più importante, come quello rappresentato dall’area Pedemontana, essere sede di un Tribunale “autonomo”?
Per il tessuto socio-economico, potrebbe diventare un ulteriore tassello per aumentare la competitività e l’attrattività di sistema?
La scienza economica lo conferma da anni, buona giustizia si traduce in migliori performance economiche. Non solo, gli investitori esteri, tra le tante variabili che valutano per impiantare un’attività, collocano ai primi posti dell’analisi l’efficienza giudiziaria e burocratica.

Cittadella della Giustizia (foto Alessandro Tich, archivio Bassanonet)

La revisione della riforma della geografia giudiziaria, che potrebbe istituire il nuovo Tribunale della Pedemontana, coinvolge evidentemente tanti altri temi della giustizia italiana.
La digitalizzazione dei processi, l’efficienza, la carenza degli organici e la specializzazione degli operatori del diritto.
Ne parliamo con Davide Carnevali, primo ricercatore dell’Istituto di Informatica Giuridica e Sistemi Giudiziari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGSG-CNR), studioso che da anni si occupa dell’assetto istituzionale dei sistemi giudiziari e delle loro interazioni con il tessuto politico, economico e sociale.

Dottor Carnevali, cosa è emerso a distanza di dieci anni dalla riforma della geografia giudiziaria?
«La riforma della geografia giudiziaria del 2012 è avvenuta con l’intento di migliorare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, con una razionalizzazione dei costi e una migliore allocazione delle risorse. L’intento politico era certamente nobile, ma i criteri utilizzati hanno lasciato intendere fin da subito che non vi era una reale volontà di interrogarsi sul futuro del “servizio giustizia”, sugli strumenti e le strutture più adeguati ad interpretarlo: solo un bel taglio lineare. Alcuni correttivi sono stati ipotizzati nella commissione Vietti del 2015 per la riduzione del numero anche delle Corti d’Appello, ma poi non se n’è fatto nulla. Da allora pressoché silenzio».

La razionalizzazione ha portato più efficienza nella giustizia italiana? In Italia sono attivi Tribunali con caratteristiche e dimensioni simili a quelle che potrebbe avere il nuovo Tribunale della Pedemontana?
«Forse sì, ma dipende dove, e non è chiaro per quale motivo. Basti pensare che l’allocazione delle risorse umane è ancora determinata attraverso la definizione delle piante organiche e non in base alla misurazione delle unità di lavoro full-time equivalent e ai carichi di lavoro. Questo è grave, considerando che il costo degli uffici giudiziari è quasi totalmente dovuto al personale e questo ha effetti su efficienza e produttività. Dalle nostre ricerche, infatti, appaiono ancora delle differenze inspiegabili e preoccupanti di efficienza da tribunale a tribunale, anche dopo dieci anni dalla riforma. Queste differenze possono essere visionate e confrontate direttamente, ad esempio, attraverso un pannello interattivo accessibile attraverso la home del sito web del mio Istituto (www.igsg.cnr.it) e riguardano tutti i tribunali, certamente paragonabili anche ad un possibile Tribunale della Pedemontana».

In sostanza, se non è possibile stimare precisamente l’efficienza globale di un Tribunale, qual è stato il senso del giro di chiusura di molti Tribunali italiani nel 2013?
«La razionalizzazione correlata al concetto di miglioramento dell’efficienza ha certamente un senso se messa in atto secondo criteri scientifici, misurando domanda - che vuol dire conoscenza dei numeri e dei bisogni del contesto socio-economico di un territorio - e offerta di giustizia, commisurata alla domanda in termini di risorse e strutture. Purtroppo, non è stato e non è ancora così, fintanto che non si misurerà (e si useranno i dati statistici) come si dovrebbe. Tuttavia, un vantaggio indubbio della riduzione dei tribunali c’è stato ed è quello della inevitabile valorizzazione della specializzazione delle professioni legali, attraverso la concentrazione. La crescente complessità della procedura e delle cause in certi settori richiede ormai professionisti del diritto sempre più competenti. Questa è una tendenza ormai irreversibile e sempre più necessaria. Lo è in tutti i settori professionali. Chi si farebbe operare al cuore da un cardio-chirurgo che fa solo due operazioni all’anno?».

Uno dei problemi centrali della giustizia italiana riguarda la lentezza dei procedimenti, in parte collegata alla carenza generale di personale amministrativo e di magistrati.
«Anche il problema della lentezza dei procedimenti è un tema collegato. I dati ci sono, ma dalle nostre ricerche emerge che non sono elaborati e comunicati in modo da mettere in evidenza le diverse situazioni in modo chiaro e trasparente. Né sono effettuate delle correlazioni legate alle caratteristiche organizzative dei diversi tribunali e quindi mancano poi conseguenti interventi mirati a sanare le situazioni critiche».

Su questo l’Italia è spesso bacchettata dalle istituzioni europee.
«Uno degli obiettivi del PNRR è la riduzione degli arretrati e quindi la possibilità di far rientrare nei termini previsti dalla legge (e dai timeframe stabiliti dal Consiglio d’Europa) i tempi dei procedimenti. Le stime ci dicono che tutto questo è certamente possibile, senza grossi sforzi, se si dovesse mantenere costante la produttività. Purtroppo, i dati ci dicono che la produttività sta calando, anche in presenza di un drastico calo della domanda e questo apre scenari inaspettati (e anche un po’ inquietanti) tutti da esplorare. La carenza del personale poi è un tema certamente influente e da considerare. Si tratta di una questione strettamente collegata a quanto dicevo prima sul metodo di allocazione delle risorse, che occorre fare sulla base di una misurazione della domanda potenziale e dei carichi di lavoro, non certo su una stima basata sulle piante organiche».

Anche il futuro dell’organizzazione della giustizia sarà rivoluzionato dalla digitalizzazione. È questo il fattore determinante che influenza la geografia fisica dei Tribunali?
«Questo ci porta direttamente a ragionare su quello che penso sia il tema fondamentale, come dicevo all’inizio: cosa è oggi la giustizia e cosa sarà domani. Potremmo scoprire, infatti, che i bisogni di giustizia delle comunità e del contesto socio-economico di un territorio non vengono più “intercettati” e “trattati” da un sistema giustizia tradizionale di tipo “fisico”, ma sempre più “virtuale” e comunque fuori dai tribunali. Lo sviluppo del PCT (Processo Civile Telematico) e presto anche di quello penale, nel contesto dei recenti processi di riforma, ha spostato la trattazione dei casi ormai sulle piattaforme digitali».

Che tempistiche ci saranno per vedere un forte upgrade della digitalizzazione della giustizia?
«Il processo civile, anche nella sua fase d’udienza, è ormai spinto sempre più verso l’esclusione della presenza fisica (sviluppo della cosiddetta “udienza cartolare”), così come la mediazione e la negoziazione, che spingono a tenere cittadini e imprese a risolvere le controversie fuori dai tribunali. Non ultimo, poi, il crescente utilizzo dei “fori online” messi a diposizione dalle grandi piattaforme di e-commerce, che tolgono anch’esse contenzioso. Anche il processo penale ha visto un crescente utilizzo di strumenti quali la videoconferenza per la partecipazione degli imputati alle udienze e l’escussione dei testimoni ed esperti. Una tendenza che si è rafforzata con la pandemia, ma che è ormai ben radicata nel modus operandi degli operatori del diritto. A questo va aggiunto anche una tendenza crescente ad avere un approccio multi-agenzia alla trattazione dei casi, che mette in discussione gli spazi tradizionali in cui siamo abituati a pensare un tribunale».

Non è una questione di campanilismo: la Pedemontana è un crocevia strategico dell’economia del Veneto, inoltre non si può sottovalutare la dimensione istituzionale e sociale del potenziale perimetro di competenza del nuovo Tribunale.
«Nello scenario che ho tracciato, credo che si capisca bene come sia necessario fare un’analisi accurata dei bisogni della domanda di giustizia e come si debba di conseguenza definire un’offerta di un servizio, che non può più essere erogato secondo le modalità tradizionali e che quindi prescinde in larga parte dal luogo fisico. In questo contesto, potrebbe essere interessante ridefinire il ruolo dei luoghi fisici, che vadano oltre l’idea tradizionale di tribunale. In Italia, c’è ormai da tempo un dibattito (e anche iniziative) sulla realizzazione dei cosiddetti “uffici di prossimità”.
Così anche altri paesi, come la Spagna e Portogallo per esempio, in cui si è cercato di intercettare i bisogni delle comunità, soprattutto per quanto riguarda l’informazione legale, guida al procedimento e di “triage” da parte di team composti da personale degli uffici giudiziari e di esperti legali messi a disposizione dall’avvocatura. Altro esempio sono nei paesi anglo-sassoni (in particolare USA e Australia) e anche in Brasile le esperienze delle “circuit courts”, in cui un pool di giudici con diverse competenze specifiche si sposta in località diverse per fornire un particolare servizio dove serve».

Un luogo fisico servirebbe però anche in questo scenario.
«Si ribalta il concetto di tribunale come luogo fisico statico. In questo caso sono necessari locali fisici attrezzati, ma con finalità differenti. Quindi, se si vuole riaprire un tribunale, bisogna chiedersi per fare cosa».

Altra questione: le imprese, non solo quelle italiane, investono in aree dove è alta l’efficienza della giustizia.
«Possiamo domandarci se in base a quanto detto le imprese hanno bisogno di trovare tribunali “vicini”, oppure tribunali un po’ più lontani ma con professionalità “competenti” ed “efficienti”. Certo non hanno bisogno di operazioni di maquillage - com’è stata in gran parte la revisione del 2013 - che portino ad avere tribunali più “grandi”, ma con incompetenze e inefficienze».

Cosa potrebbe significare, quindi, per un territorio ad alta densità produttiva come quello di dell’area Pedemontana, riavere un Tribunale “autonomo”?
«Se me lo avesse chiesto dieci anni fa le avrei detto “si può fare”, a patto di misurare correttamente la domanda di giustizia e calibrare conseguentemente le risorse necessarie a farlo funzionare bene. Oggi tutto è cambiato e domani lo sarà ancora di più. La progressiva contrazione della domanda, la massiccia digitalizzazione, l’utilizzo crescente delle misure alternative delle controversie, la necessità di sempre maggiore specializzazione, mi fanno dire che bisognerebbe pensarci bene. Considerando le prospettive, come ho anticipato, occorrerebbe ridefinire il senso degli spazi fisici della giustizia che tenga conto del futuro».

Praticamente tutti i corpi intermedi, con in testa la politica e le associazioni, stanno sostenendo convintamente la costituzione del Tribunale della Pedemontana. Per un ecosistema cittadino va messo in conto anche l’indotto economico che produce una sede giudiziaria.
«Si può certamente stimare l’indotto economico, ma non è il mio campo di ricerche. Ci sono altri studiosi che lo fanno. Sulle altre questioni, posso dire che comprendo pienamente la spinta della comunità e dell’imprenditoria di Bassano, così importante in termini di numeri e interessi per riavere il tribunale. In un’idea di giustizia “tradizionale”, quando ci sono queste spinte si cerca una risposta “tradizionale”: qualità della giustizia vuol dire più tribunali vicini alla domanda. Ma, come dicevo, le prospettive ora sono molto diverse».

Altro dato sicuramente non secondario, il Tribunale della Pedemontana è già pronto, o quasi.
«La giustizia è rappresentata dalla metafora molto fisica del “tempio del diritto”, ma questo è sempre meno vero. La giustizia sarà sempre meno rappresentata da un luogo fisico e presto occorrerà abituarci a nuove metafore, più fluide. Sulla stessa linea potrei concludere con una battuta (e un’altra metafora) sulla questione dell’edificio già pronto e inutilizzato dicendo che una “cattedrale nel deserto” vuota è certamente una cosa intollerabile, ma una cattedrale piena, se rimane nel deserto, è forse meglio?».

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