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A Venezia debutta il ticket tra consensi e proteste
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
A tu per tu con Silvia Calamati
Intervista alla giornalista e scrittrice Sivlia Calamati, autrice della performance proposta al Ridotto di Teatro Remondini su Bobby Sands
Pubblicato il 18-03-2011
Visto 4.042 volte
Il 17 marzo è un giorno speciale per l’Italia, ma è anche il giorno di San Patrizio, patrono d’Irlanda. In questa occasione che avvicina in senso lieto due comunità - e dopo aver assistito al Ridotto del teatro Remondini alla sua performance dedicata a Bobby Sands - parlo con Silvia Calamati, giornalista, scrittrice e collaboratrice di RaiNews 24, parliamo del suo spettacolo e delle ragioni che muovono il suo interesse profondo verso la “questione irlandese”. Personalmente mi ha incuriosito un apparente dualismo: il ricorrere nella narrazione di Silvia di frasi che intendevano ribadire “è uno dei tanti” - era un ragazzo che non amava particolarmente la scuola, un innamorato del calcio, un giovane che adorava la musica - quindi elementi che sottolineavano simpaticamente la sua rappresentatività “popolare”, e nel contempo l’elencazione di fatti tragici che prima a matita, poi a bulino, hanno consentito ai tratti eroici di Bobby Sands di marcarsi in una escalation innegabile, nel quadro finale un eroismo comunque mai élitario, ma contagioso e corale. Il giovane uomo irlandese, insieme ad altri, ha compiuto un sacrificio coraggioso per i suoi ideali e per il suo Paese, e ha pagato alla causa collettiva l’obolo della vita. Lo si accomuna, oggi come allora e a livello mondiale, ad altri che hanno fatto di un credo profondo nei diritti umani la propria bandiera.
Ricorrono i trent’anni dalla sua morte, cosa ti ha colpita nella storia di Bobby Sands così tanto da farti decidere di assumerti il compito di traghettare le sue parole e la sua vicenda attraverso i libri e questo spettacolo?
i First Moon in un momento dello spettacolo dedicato a Bobby Sands
Quelli che mi hanno colpito sono fattori molteplici e complessi. Ricordo sempre in tante occasioni che non sono stata io a scegliere l’Irlanda ma che è stata l’Irlanda a scegliere me, si è trattato comunque di un incontro forte, di un abbraccio avvenuto tanto tempo fa e che mi ha fatto conoscere vicende e persone importanti, entrambe bisognose e degne di essere raccontate. Le storie che ho incontrato mi hanno appassionato da subito, con perentorietà, e cerco di narrarle con rigore e fedeltà ai fatti. Il mio obiettivo è quello di rendere loro l’onore e la dignità che meritano togliendo la patina grigia e incrostata della censura che le ha nascoste, o mascherate, a lungo. La figura di Bobby Sands, assieme a quelle degli altri giovani rinchiusi come lui nello spietato carcere di Long Kesh, ragazzi morti con Bobby nel corso delle proteste culminate con gli scioperi della fame, sono solo la punta dell’iceberg di una situazione complessa e tragica. Si tratta dei protagonisti, loro malgrado, di un’epoca vicinissima a noi che ha visto in terra d’Irlanda l’annullamento dei diritti umani, il disconoscimento dei diritti civili di una popolazione, una lotta sanguinaria. Mi hanno colpito la giovane età delle persone coinvolte, morte sotto i trent’anni, e la quantità dei giovani che hanno partecipato a questa lotta, la lotta di un’intera generazione; mi ha colpito l’efferatezza delle persecuzioni inferte in carcere, e i racconti delle sevizie che ho inserito nello spettacolo non lasciano spazio a fraintendimenti sulle brutture a cui erano sottoposti i prigionieri; mi ha colpito il fatto che Bobby Sands sia riuscito a scrivere dal blocco H testi di tale chiarezza, dignità, profondità; mi ha colpito il suo essere lucido e determinato a difendere i suoi ideali fino alla fine, un prestarsi a divenire simbolo che rivela una fermezza eroica.
A che cosa imputi l’alto tasso italiano di disinformazione/disinteresse che c’è sulla questione irlandese?
C’è ancora un muro si disinformazione che è duro da abbattere. Gli organi di informazione hanno una forte responsabilità nella costruzione di questo muro, poco o per nulla permeabile ai fatti e alle loro ragioni, hanno contribuito a creare uno scudo che copre tante cose e che genera ancora fraintendimenti o visioni parziali degli eventi che hanno interessato l’Irlanda e la sua storia. Esiste una corrente di giornalismo investigativo e di denuncia che opera bene attraverso alcuni canali radiotelevisivi e che prova a dare una informazione corretta, ma i tabloid, i periodici di stampa di ampia diffusione ripropongono ancora la questione riducendola alla teoria di un’antica forma di lotta di religione e quindi automaticamente deviano la conoscenza dei fatti e la loro comprensione. Anche il confondere ad arte, proprio nei termini, il partito per l’indipendenza con il gruppo armato, cosa che avviene ancora frequentemente, è un espediente che genera confusione e che allontana dalla volontà di avvicinarsi per informarsi e comprendere.
L’Irlanda è considerato oggi uno dei Paesi con la più alta libertà di stampa, nelle classifiche sta molto al di sopra dell’Italia rsfitalia.org/classifica-della-liberta-di-stampa-2010/classifica-2010-della-liberta-di-stampa-la-posizione-dei-178-paesi/ . E’ cambiato dunque molto rispetto agli anni ’80
Forse la classifica si riferisce all’Eire, in Irlanda del Nord, nelle sei Contee del Northern Ireland, fare giornalismo per parlare della cosiddetta questione irlandese e in particolare dei fatti degli anni ’70 e ’80 è comunque difficile. Diciamo che i giornalisti sono poco invogliati a occuparsi del tema e che sono presenti dei rischi concreti per chi lo fa in una certa maniera. Ci sono giornalisti che hanno pagato con la vita il loro interesse per la verità come è successo a Martin O'Hagan. Ed è bene ricordare che in Irlanda del Nord la legge d’emergenza, ai nostri giorni, è ancora in vigore.
Tu affermi che sono in atto dei tentativi di cancellazione della memoria storica riguardo agli eventi che riporti alla luce attraverso la narrazione, puoi farci qualche esempio concreto?
Un esempio concreto lo cito nello spettacolo: le autorità britanniche hanno deciso di smantellare il carcere lager di Long Kesh. Il gesto è inqualificabile proprio per il significato simbolico che hanno i luoghi che sono stati teatro di tanti drammi, sevizie e torture, è un po’ come pensare di abbattere il campo di concentramento di Auschwitz o di Dachau. Il tentativo di far affievolire la memoria storica si scontra con il bisogno di portare a galla la verità su quel che è accaduto, così come richiesto dai familiari delle vittime, dai più prestigiosi organismi internazionali per i diritti umani e da tanti giornalisti coraggiosi e indipendenti. La stessa cosa avviene gradualmente anche in altri luoghi, come a Derry, che fu teatro del Bloody Sunday. Erigere monumenti non basta a garantire il ricordo, le pietre non sono sufficienti da sole a rievocare la Storia.
Le parole come pietre. Una frase di Bobby Sands che ti ha colpita con forza, che ci vuoi ricordare
E’ la frase che si può leggere anche su un famoso murales che gli è stato dedicato e che dice in sintesi che ognuno di noi ha un suo compito da svolgere e che tutti possono sempre fare qualcosa. In realtà il compito che mi sono assunta io è quello di dare il mio contributo, di farmi portavoce di queste storie e di queste persone che hanno subito violenza in trent’anni di guerra, il mio augurio è che possano avere un giorno giustizia.
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