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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

A tu per tu con Emanuele Trevi

Parole in viaggio alla ricerca della gioia perpetua

Pubblicato il 13-09-2010
Visto 4.454 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Il ritrovamento del manoscritto che è il nucleo portante del tuo libro è un ritrovamento reale, non un espediente letterario

Quello di cui parlo, e che riproduco nella seconda parte del libro, è un manoscritto realmente ritrovato… in casa mia, perché si tratta di un quaderno di scuola di mia moglie (l’autrice Chiara Gamberale n.d.r.). Ovviamente, si tratta anche di un espediente usato nella letteratura di tutti i tempi, e soprattutto nell’età romantica – basti pensare a Manzoni. Diciamo che a volte l’artificio convenzionale e la realtà dei fatti coincidono in maniera sorprendente.

Emanuele Trevi


La gioia perpetua del titolo richiama alla mente la luce perpetua delle preghiere, il protagonista che porta il tuo nome, Emanuele Trevi, percorre un cammino iniziatico, va alla ricerca di dove nasce l’arcobaleno

E’ giusto, il titolo richiama certi mistici, e anche la “lux perpetua” delle religioni antiche che cercavano la salvezza dell’anima dopo la morte. Ma per me si tratta di qualcosa che riguarda la vita terrena, che è l’unica che conosco e alla quale sono interessato.

Hai detto in una recente intervista “credo solo alle sapienze radicate nelle esistenze”, un approccio saggistico, teoretico, può essere vanificato, o meglio superato dall’incontro con lo stupore creato dalle parole di un bimbo, o con l’ammirazione per i gesti sapienti di un vecchio?

Oggi c’è il professore di filosofia, nei tempi antichi c’erano i sapienti, i cosiddetti “maestri di verità”. Non mi ha mai convinto, fin da quando andavo a scuola, un sapere teorico, astratto, separato dalle contingenze dell’esistenza.

Il tema di questa rassegna di Nove è il viaggio: tu sei un critico letterario, ti piacciono i viaggi nella storia e nel passato, nella letteratura, ami anche ripercorrere i sentieri percorsi da altri

Sì, mi interessa questo continuo processo di scrittura e di riscrittura dei luoghi del mondo, anche se bisogna dire che la cosiddetta “letteratura di viaggio” raramente produce dei capolavori, nella sua versione media è un genere di consumo tra il diario e il giornalismo che può risultare anche molto triviale. Ma quando si legge un libro come “In Patagonia” di Bruce Chatwin o “Gli anelli di Saturno” di W.G.Sebald è una vera rivelazione.

In un mondo in cui il viaggio è sempre più virtuale, dove l’incontro con l’altro è sempre più virtuale, il rincorrere lo scavalcamento dei confini risponde all’esigenza di non perdere il treno degli attimi intensi, o di non “perdere il filo” come dici nel tuo libro: il togliere l’ombra ai nostri passi abbassa anche l’intensità alla scoperta?

Il problema non è il virtuale in sé, è il fatto che la nostra cultura e il nostro modo di vivere suggeriscono che le possibilità sono infinite, che ci sarà sempre un’occasione successiva, mentre la verità, vecchia come il mondo ma sempre attuale, è che ogni giorno che se ne va non tornerà più, e dunque tutto ciò che ci piace merita lo sforzo di afferrarlo al volo. Questa è poi la cosa più importante che ho cercato di comunicare nel mio libro.

Qual è il tuo parere sul ruolo della critica e su quello delle moderne tecnologie, dell’informazione che viaggia random su internet, nella promozione dei libri e della lettura?

Una verità evidente, è che nelle librerie, ridotte a catene di smercio di best seller, si trovano sempre meno libri, mentre internet ha un’offerta infinita. Se oggi qualcuno vuole leggere tutti i libri che ho scritto, ci mette cinque minuti a procurarseli, addirittura li può scaricare. Riguardo al dibattito sui blog, invece, ho molti dubbi sul suo livello. Non mi piace la facilità con la quale si costruiscono castelli infiniti di opinioni. Certamente è una democrazia, ma andrebbe riempita di contenuti più rigorosi.

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