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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Modalità lettura 3 - n. 3

Una recensione del libro di Fabio Cantelli Anibaldi dal quale è stata tratta la docu-serie SanPa-Luci e tenebre di San Patrignano

Pubblicato il 25-12-2023
Visto 4.122 volte

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Rinascimento in bianco e nero

«Il libro è troppo duro per essere pubblicato sotto Natale, quando i lettori vogliono storie a lieto fine»: sono state queste le parole pronunciate alla grande e rinomata casa editrice milanese che prima si era dimostrata entusiasta all’idea di pubblicare il libro e poi, facendole nevicare con tanto di “Oh oh oh”, all’improvviso aveva ritrattato.
Si tratta di un Natale lontano, del tutto figlio degli anni Novanta, anche in termini di poteri forti che guardavano al mondo della comunicazione con fame tossica: in tavola, c’era un pranzo da nababbi già bell’e servito, con tanto di portate da foglia d’oro ai gusti d’oltreoceano.
Il libro in questione nella prima edizione avrebbe dovuto avere un titolo che ha poi recuperato nel 2019, quando è stato ripubblicato dopo vent’anni anni di latitanza edito dalla Giunti: Sanpa, madre amorosa e crudele. La molla per questa rinascita anche mediatica l’ha fatta scattare Carlo Gabardini, uno degli autori di SanPa. Luci e tenebre di San Patrignano interessante docu-serie firmata Netflix — seguitissima — che sì (del resto inevitabile visto la consistenza magmatica del materiale) ha scatenato accuse di partigianeria, ma che ha il merito di aver fatto sfilare davanti agli spettatori, e di averlo fatto con rigore, storie, temi ed eventi chiusi a chiave in tutta fretta all’epoca dei fatti in cassetti destinati all’oblio: le dinamiche complesse della tossicodipendenza, la carneficina di ragazzi morti per overdose, la nascita di comunità con fiocchi color inferno-purgatorio-paradiso, la calata sugli anni Ottanta dell’Aids — un passaggio di fantasmi su strisce ad alta visibilità.

atmosfera natalizia a San Patrignano

Se il cammino si intraprende a ritroso, seguendo le bandierine al contrario dal prodotto per lo schermo al libro, come capita sempre più spesso di fare, succede che l’incontro con l’autore della pubblicazione in oggetto cambi connotati, si ammorbidisca. Accade forse proprio come avrebbe voluto il giovane uomo difficile che ha scritto la sua storia e che vediamo serio, vagamente sprezzante, nella foto in ultima pagina, perché è a lui che si rivolge l’abbraccio — troppo facile abbracciare la persona redenta, impegnata per il bene (oggi è vice presidente della Fondazione Gruppo Abele di Don Ciotti), l’uomo minato nella salute che è ora.
Tolti di mezzo schermi o palcoscenici, che ingigantiscono i tratti egotici, narcisistici, permalosi, che si ritrovano in tanti tossicomani o ex tali innamorati della loro ossessione per una dipendenza, e messi da parte i discorsi da analisti con la droga come dolcezza del focolare del regno infero che si impone nel regno supero come unico motore per far-sì, affidandosi all’ascolto indiretto della capacità di pensiero, di espressione, di scrittura di Fabio Cantelli Anibaldi, accade che si riesca a vederlo chiaramente e a guardarlo in faccia, quel desiderio estremo, bruciante, di sapere, di conoscere, di capire che ha generato tanta inquietudine, tanta sofferenza, senza il quale non si riesce a vivere ma neanche a morire — si intitolava La quiete sotto la pelle, da un verso di Patti Smith, la prima edizione del libro.
Cantelli Anibaldi è riuscito a raffigurare e a fare ardere tra le pagine le fiamme di questo desiderio di infinito grazie a un innegabile talento, ma anche attraverso una continua attività di scarnificazione, prima, poi o contemporaneamente diventata ricerca e studio; l’ha aiutato una comunità invisibile di madri e padri di quelli scelti presi a prestito da filosofia e letteratura. Il veicolo tutto umano del linguaggio, un linguaggio colto esito di un’ampia capacità di pensiero ma anche di un sapere articolato, gli ha consentito di rendere questa massa smaniante con la propensione a finire in cenere nitida e contemplabile dall’esterno, posta al di fuori, resa altro da sé. Lo dichiara in più occasioni, l’autore, che sapeva che sarebbe toccato a lui raccontare questa storia complicata, consapevole che aveva i mezzi per farlo.
Si scende in profondità nel libro, messi di fronte a una disamina che richiede, e a tratti pretende, piena attenzione. I protagonisti sono diversi: la comunità di San Patrignano (Cantelli Anibaldi la chiama sempre così, non “Sanpa”, è stato responsabile della comunicazione della comunità per anni); Vincenzo Muccioli; un’epoca italiana; infine Fabio Cantelli Anibaldi stesso, che si rende non senza dolore crocevia delle altre storie, la sua una croce ma anche un atto di servizio poiché per tanti anni ha condiviso le orbite tracciate dagli altri protagonisti. Tra i capitoli, fatti, personaggi e azioni sono oggetto di un’analisi spesso tagliente, a volte da animale ferito ma più spesso, rovesciando le prospettive, sviscerati in rapporti dai tratti entomologici che stupisce siano stati redatti a caldo. Se si tratta di una disamina in fondo pietosa, e lo è, l’accezione è di intendersi più in senso greco, che in quello cristiano.
Per il lettore è possibile seguire vari fili narrativi, a discrezione, a seconda dei suoi interessi presunti o preordinati, ma è difficile non soffermarsi sui passi a volte amorevoli, a volte gelidi, in cui Cantelli Anibaldi ritrae l’enorme Muccioli: anche annotandoli con cura, la figura che ne emerge pare sempre il riflesso di uno specchio rotto, o esce dalla gabbia della cornice.
In vero, una lettura “da 3 anni in su”, come indica Amazon, e si tratta di fili poco color natale da sbrilluccichio, quelli a cui ormai siamo abituati. Ha molto più a che fare col filo rosso sangue del tutto vitale che cola sul viso giovane in copertina, con ideali di nascite e di resurrezioni, quindi con un Natale d’altri mondi.
In conclusione, se servisse ribadire, libro, autore e storia oltremodo interessanti.

(Sanpa, Giunti Editore, 2021, pagine 233, prezzo 18,00 euro).

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