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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Il "Tich" nervoso

La filosofia del circa

Dalla bellissima scritta sulla saracinesca di un bar di Bassano, alcune considerazioni generali sull'andamento delle cose nel nostro Paese

Pubblicato il 05-02-2018
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Sabato mattina, mentre scendevo per via Gamba a Bassano, ho notato per caso la bellissima scritta sulla saracinesca abbassata del “Caffè dell'oste”, locale pubblico che si trova dirimpetto al “Caffè dei libri”. Si tratta dell'avviso per il pubblico sugli orari di apertura del bar che, come da foto pubblicata sopra, recita così: “Caffè dell'oste. Lun mar mer ven ore 15:00 circa. Sab dom ore 12:00 circa.” Messaggio conclusivo: “L'oste ringrazia per la pazienza”. Semplicemente stupendo. Una comunicazione nella quale la parola “circa”, peraltro, compare in netta evidenza.
È l'espressione della riconquista di un bene primario di cui la nostra società odierna sente sempre di più la mancanza: il tempo. Tutti a correre dietro a qualcosa e ad essere rincorsi, senza necessariamente arrivare ad un traguardo, per poi giustificare con la mancanza di tempo l'ennesimo rinvio delle cose da fare.
Non è il caso dell'oste di via Gamba, Simone Montagner: quello che ci dice, sulla sua serranda abbassata, è che aprirà il locale quando sarà il momento. All'incirca. Senza fretta. Potrà farlo, ad esempio il sabato mattina, alle 12:05 come pure alle 12:30. Dipende. Da cosa? Fatti suoi. Il cliente deve solo portare pazienza. Fatalità, mentre passavo lì davanti e ho scattato la foto era proprio mezzogiorno in punto. Ancora nessun segno di vita dentro e fuori il locale. Erano scattate le lancette del “circa”: prima o poi, quella mattina, quella saracinesca sarebbe stata sollevata per aprire l'esercizio, come poi un po' più tardi sarebbe regolarmente avvenuto.

Foto Alessandro Tich

Ma quello di cui il titolare del “Caffè dell'oste” probabilmente non si è reso conto, è il fatto che la sua scritta sulla serranda chiusa ha involontariamente aperto agli occhi di chi vi scrive una perfetta metafora dell'andamento delle cose nel nostro Paese.
Con l'unica differenza che lui ha avuto l'onestà di scrivere la parola “circa” a chiare lettere.
Perché - è mi stringe il cuore ammetterlo - quella in cui viviamo attualmente è una Repubblica fondata ormai sul circa e in quanto tale poco affidabile.
Negli appuntamenti da rispettare, negli impegni da portare avanti, nelle parole che devono poi necessariamente corrispondere ai fatti, nei tanti progetti che si risolvono nell'inconcludenza. E non mi riferisco solo alla politica e alle sue promesse, sarebbe troppo facile. Riguardo alla classe che ci rappresenta nei Palazzi del potere e alle strutture pubbliche che traducono la politica (leggi e normative) in burocrazia, l'indefinitezza viene data per scontata. Anche perché, al momento opportuno, il dottore è sempre fuori ufficio.
Oggi la filosofia del circa pervade la nostra vita, i nostri rapporti, il nostro stesso modo di gestire le attività quotidiane e lavorative. Faccio un piccolo esempio concreto sulla mia esperienza: più di un anno fa avevo intavolato un'ipotesi di collaborazione professionale con un noto imprenditore del nostro territorio. Era il dicembre del 2016.
“Benissimo, ci sentiamo dopo le feste”, mi aveva detto. Peccato che non avesse specificato di quale anno. Avrebbe fatto molto prima a dirmi “non mi interessa, grazie”.
E invece vai, tira e molla, telefona e non rispondi, richiama e non mi senti, manda il messaggino e non lo leggi, chi vivrà vedrà, lasciamo stare che è meglio.
La tattica approssimativa, ma molto diffusa, dell'eterno rinvio. Quella che appunto tutti i giorni ci costringe a correre dietro qualcosa o qualcuno, perdendo quel tempo che continuiamo a dire che ci manca ed energie utili a fare altro.
È lo stesso pressapochismo di sistema lamentato da un mio amico che lavora all'estero con le imprese italiane e che mi riferisce delle stesse difficoltà a rapportarsi e a stare dietro alle nostre aziende, alcune delle quali fanno persino fatica a rispettare gli impegni presi nero su bianco. Salvo ovviamente le eccezioni, siamo appunto il Paese dell'incirca e del suppergiù: per questo oggi gli altri Paesi sono su e noi siamo giù.
Finché il circa riguarda l'orario di apertura di un esercizio pubblico, ben venga.
È un modo simpatico e originale per riappropriarsi del proprio tempo, facendo adeguare di conseguenza anche il tempo degli altri. Che se proprio hanno voglia di bersi un caffè, possono benissimo andare da un'altra parte. Anche al bar di fronte, che a quell'ora è già aperto. Quando invece il pressappoco incide sulla nostra capacità di dare e di ricevere qualcosa da questo Paese, è dura trovarsi la saracinesca abbassata.
E in questo caso, diversamente dal bar in via Gamba, la pazienza ha un limite.

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