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L’arma del gas

Come è cambiata la politica energetica dell’Europa e dell’Italia dopo il conflitto russo-ucraino. Intervista ad Andrea Greco, autore del libro “L’arma del gas. L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia”

Pubblicato il 30-12-2023
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Anche a guerra finita, nulla sarà come prima nella politica energetica dell’Europa e dell’Italia. La decisione dei governi europei di affrancarsi dalle importazioni di gas dalla Russia ha avuto come conseguenza iniziale un forte aumento dei prezzi del metano e dell’elettricità. Oggi, invece, la ricerca di partner energetici alternativi e di nuove forme di approvvigionamento rappresenta la sfida principale per la competitività dell’economia europea.

I giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo spiegano in modo dettagliato nel loro ultimo libro, “L’arma del gas. L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia” (Feltrinelli), i passaggi cruciali delle intese che hanno portato l’Europa occidentale ad una sempre maggiore dipendenza dal gas russo, a partire dagli accordi degli anni Sessanta tra l’Eni e l’Unione Sovietica fino a quelli più recenti sottoscritti dalla Germania di Gerhard Schröder.

Andrea Greco


Una parte del libro è inoltre dedicata ai meccanismi che nel 2022 hanno portato i prezzi del gas europeo a livelli abnormi. Con l’autore Andrea Greco, giornalista economico di Repubblica, riprendiamo alcuni punti di analisi che aiutano a capire le origini della dipendenza europea dalla Russia e gli scenari futuri che si profilano nel “grande gioco” energetico in atto a livello globale.

Nel libro scrivete che nella guerra russo-ucraina si contano tre vincitori, gli Usa e la Cina e i Paesi non allineati, e tre sconfitti: l’Ucraina, la Russia e l’Europa. Perché l’Europa rischia di essere la grande sconfitta economica del conflitto?

«Principalmente perché l’Europa è un importatore quasi totale del proprio fabbisogno energetico, una condizione molto diversa per esempio da quella degli Stati Uniti. A differenza sempre degli Stati Uniti, poi, l’economia europea aveva un interscambio commerciale cospicuo con la Russia. Anche il fattore geografico conta: tra l’Europa e la Russia non ci sono oceani né montagne di mezzo».

All’origine della fragilità europea c’è la quasi totale dipendenza energetica dalla Russia?

«Nel 2022, agli inizi del conflitto, l’Unione Europea era molto disallineata rispetto agli interessi della NATO. Negli anni aveva accentuato in modo abnorme la dipendenza dal metano russo per ragioni geopolitiche, soprattutto grazie ai rapporti della Germania di Gerhard Schröder e dell’Italia di Silvio Berlusconi con la Russia di Putin. Non dimentichiamoci tutti gli amici di Putin nella Spd, un partito nel partito: Schroeder appunto, Steinmeier, Gabriel, Voscherau, Struck, Platzech, Schwesig. Poi c’erano ragioni industriali: il gas russo era a buon mercato, con infrastrutture e metanodotti ampi e già ammortizzati. Per questo, come sosteniamo nel nostro libro, la grande discontinuità prodotta dal blitz russo e dalla massiccia reazione occidentale rischiano di far finire gli interessi dell’Europa tra le vittime collaterali del conflitto russo-ucraino».

A distanza di quasi due anni dall’inizio della guerra, esiste ad oggi una via di uscita europea, una visione comune in fatto di politica energetica?

«Quando il presidente americano Biden, nel marzo del 2022, arrivò in Europa, in molti pensavano ad un nuovo Piano Marshall energetico. Non è mai arrivato, e gli Usa da allora si limitano a vendere il loro metano liquido (GNL) agli europei. L’Europa non ha ancora una visione comune, ogni Paese fa per sé, le strategie energetiche sono unilaterali. Si va dalla ricerca del gas da chiunque sia in grado di venderlo alla costruzione dei rigassificatori, dall’acquisto del GNL via nave alle politiche di efficientamento energetico. Il piano europeo REPowerEU è stato un primo passo per intavolare un ragionamento su una politica energetica comune, ma ancora non si vedono i risultati».

Arriviamo all’Italia, nel libro siete molto pessimisti sulla buona riuscita del cosiddetto nuovo Piano Mattei.

«La terzietà di ordine geopolitico che stava alla base delle azioni manageriali di Enrico Mattei è stata una chiave di successo, nei decenni scorsi, per costruire una politica energetica italiana. Siamo un Paese del G8 ma siamo anche la porta principale del Mediterraneo, siamo europei ma abbiamo le coste che guardano all’Africa e al Medioriente. L’Eni è stato un araldo di questa terzietà ed è riuscito a lavorare anche dove non riuscivano a farlo i Paesi coloniali. Ancora oggi la terzietà dovrebbe essere il nostro principio ispiratore. Ma per quanto riguarda il “Piano Mattei” del governo Meloni, siamo convinti che si tratti anzitutto di propaganda politica».

Perché?

«Dall’ottobre del 2022 ancora non ha prodotto niente e neanche il recente decreto disciplina cosa dovrebbe fare. L’Eni, in compenso, è l’unico attore che ha accesso a tutti i leader dell’Africa e del Medioriente, ed è l’unico in grado di dare garanzie industriali per firmare partnership e avviare i progetti di esplorazione, sviluppo dei giacimenti e impianti di distribuzione del gas in loco. Ma l’Eni, dal 1992, è una spa privata, che benché controllata dal Tesoro ha oltre due terzi del capitale in mano ai fondi esteri, orientati al profitto».

Quali sono stati gli errori dell’Italia rispetto alle scelte di partnership energetica?

«Nel periodo 2001-2011 il centrodestra di Silvio Berlusconi ha scelto una linea di politica estera molto allineata agli interessi di Putin e di Gazprom. In quegli anni abbiamo incrementato in modo pericoloso la nostra dipendenza rispetto al gas russo. La seconda fase è collegata alla crisi libica e alla perdita della nostra influenza in quell’area. Dopo la fine di Gheddafi, in mezzo alla guerra delle fazioni libiche, non abbiamo praticamente più toccato palla, con grande complicità dei francesi. C’è poi un terzo errore, frutto di miopia della politica italiana nel congegnare la liberalizzazione del mercato energetico con modalità che hanno tolto all’Eni ogni convenienza a costruire i rigassificatori; quelli che oggi lo Stato corre a realizzare a spese dei contribuenti. Nel libro spieghiamo questo ed altri passaggi critici che hanno contrassegnato la costruzione - lo scorporo - del mercato dell’energia in Italia. Un processo avvenuto troppo “dall’alto”».

Un’altra tesi del libro: nell’estate 2022 Germania e l’Italia hanno “fatto a pezzi il mercato del gas”, favorendo l’arricchimento degli speculatori e impoverendo imprese e famiglie europee.

«Il Ttf è pieno di storture, è il mercato del gas più pazzo del mondo. È un mercato poco regolamentato e poco “profondo”, dove non passano le transazioni più importanti, per questo motivo è molto soggetto ai colpi della speculazione: come si è visto puntualmente nella crisi del 2022. Le forniture via metanodotti erano su base decennale, legate a formule ma anche a contrattazioni di tipo politico tra i due Paesi del caso. Il mercato come quello del Ttf invece non fa sconti, se non paghi la nave carica di gas non attracca».

Quale sarà il ruolo dell’Eni in uno scenario globale in via di ricomposizione in blocchi politici d’influenza regionale?

«Il gas ha rappresentato tra il 2008 e il 2022 il 77% degli idrocarburi scoperti dal gruppo. Tra il 1998 e il 2007 il gas costituiva solo il 43% delle nuove scoperte. Nel 2022 il gas di proprietà ha rappresentato il 53% della produzione totale di idrocarburi. La partita principale riguarda la transizione energetica con neutralità al 2050 e l’esigenza anche per l’Italia di produrre sempre più gas. Ma la debolezza degli esecutivi italiani non aiuta a fronteggiare gli interessi dei sistemi paese più forti come Turchia e Francia nel Mediterraneo».

Putin ha perso la guerra del gas?
«Sì, perché non è riuscito a far collassare l’Europa, dove i suoi storici alleati non lo hanno tutelato nelle forniture pluridecennali. Ma oggi il mondo dell’energia è più anarchico e caotico che mai».

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