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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Educare alla sessualità negli anni 2.0
A tu per tu con Patrizia Tadiello, formatrice che da molti anni propone percorsi di educazione affettivo-sessuale nelle scuole del bassanese
Pubblicato il 22-01-2011
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L’intervento di Benedetto XVI nel discorso tenuto di recente di fronte al corpo diplomatico della Santa Sede ha scatenato un mare di polemiche. Le sue parole:"L'educazione sessuale e civile impartita nelle scuole di alcuni Paesi europei costituisce una minaccia alla libertà religiosa… Proseguendo la mia riflessione non posso passare sotto silenzio un'altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un'antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”. Il parere di una professionista che da decenni propone un percorso di educazione affettivo-sessuale nelle scuole del bassanese.
Dottoressa Tadiello, qualcuno in tempi non sospetti ha detto: “Prima viene il sapere, poi la libertà di poter scegliere”. Certo l’intervento di Papa Ratzinger era inserito in un contesto più ampio e complesso, ma gli effetti di questa parte della sua analisi rischiano interpretazioni letterali, prescrittive, che vanno a colpire con una sassaiola percorsi educativo-formativi delicati, tenuti in piedi con sacrificio e fiducia dalle scuole. Del resto il parere è autorevole. Quali sono le sue riflessioni sulla posizione espressa dalla Chiesa?

Patrizia Tadiello
Sinceramente per alcuni aspetti mi trovo d’accordo. La sessualità non è solo un fatto naturale, ma è anche soprattutto culturale e come tale chiama in gioco le relazioni tra gli individui, andando a toccare il mondo delle emozioni e delle conoscenze, di tutto ciò che, nel profondo, permea la vita delle persone, e dei più giovani innanzitutto. Parlare di sessualità nel contesto affettivo consente agli adulti di dare buone informazioni e di aiutare i ragazzi/e ad inserirla nel proprio progetto di vita. In questi ultimi quarant’anni siamo passati da una totale censura, tabù, e silenzi imbarazzati su tutto ciò che riguardava la scoperta del sesso, a parlarne troppo e a sproposito, a vederlo spettacolarizzato ogni giorno dai mass media.
La Chiesa si è interessata dell’educazione affettiva e sessuale da tempo: i primi corsi che ho frequentato più di trent’anni fa erano organizzati da strutture cattoliche. Io credo che il Pontefice si riferisse con le sue parole a certi corsi che si svolgono in alcuni paesi europei dove l’educazione sessuale si riduce ad una pura e semplice prevenzione di un “rischio”. E penso – e mi trovo d’accordo in questo – che volesse sottolineare quanto l’educazione alla sessualità sia prima di tutto un’educazione all’affettività, con la quale i più giovani possano capire di più se stessi, i loro sentimenti e l’amore e il rispetto altrui. Benissimo prevenire il rischio, ma credo davvero che la liberalizzazione del sesso non renda veramente liberi senza una concreta maturazione affettiva che passa attraverso la bellezza dell’attesa, della pazienza, e del crescere a tappe.
Le Indicazioni per il Curricolo invitano a mettere al centro la persona: “Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato”. Tra le domande e gli orizzonti ricercati dai ragazzi ci sono anche quelli riguardanti la loro crescita fisica, relazionale, e la scuola deve rispondere, l’ambiente protetto e l’istituzione stessa sono garanti della “neutralità” di cui parla il Papa, o è meglio il “self made”?
La scuola è l’ambiente più adeguato, si tratta di un contesto educativo protetto che si affianca alla famiglia e che consente un passaggio trasversale, a tutte le fasce sociali, delle conoscenze e delle informazioni. In una società così variegata e complessa come quella attuale, dove sono presenti, e sempre di più, tante realtà diverse, è importante anche l’aspetto del crescere insieme.
Quali sono gli obiettivi principali del suo progetto “La strada del cuore”?
Innanzitutto l’obiettivo del mio progetto è creare una rete di collaborazione informativa ed educativa tra genitori, insegnanti e ragazzi. Perché “La Strada del Cuore”? Perché educare alla sessualità è educare all’amore, ad amare prima di tutto noi stessi, accettandoci per quello che siamo, con i nostri limiti, e ad amare quindi l’altro nel rispetto e nell’autenticità. Non voglio in alcun modo sostituirmi ai genitori in questo ruolo fondamentale e delicato: cerco solo di portare alla luce, con qualche strumento, possibilità ed occasioni che esistono già in famiglia.
E’ importante un’informazione precoce, indirizzata con i dovuti tempi e modi, anche all’età infantile?
Certo che sì. Dal 1980 – quando ho cominciato, ancora unica nel territorio, a fare educazione alla sessualità nelle classi quinte elementari – ad oggi, i risultati del mio lavoro sono gli stessi: i ragazzi di quell’età, smaliziati e curiosi, hanno desiderio di conoscere il gioco straordinario dell’origine della vita, hanno desiderio di capire che cos’è l’amore che li ha creati, e hanno anche l’interesse – semplice ma non banale – di sapere dare il nome giusto alle cose, e di poterne parlare senza vergogna.
Nella sua lunga esperienza a contatto con i bambini e i ragazzi quali sono le realtà problematiche che sono venute alla luce, i bisogni espressi in un 2011 patentato 2.0, dove le informazioni sulla salute e la crescita sono date come fatti acquisiti, bypassabili?
Purtroppo tocco ogni giorno con mano i pericoli in agguato della televisione e di internet con la loro proposta frequente di immagini che ammiccano a una sessualità gratuita, volgare e anche abusante (dalla nudità facile televisiva alla pedo-pornografia), sono canali troppo a disposizione, con pochissimi controlli, dei ragazzini. E spesso constato una grande solitudine nel loro mondo, quando non riescono a trovare occasioni di convivialità e di confronto con i propri genitori: non sembra esserci più tempo per parlare, figuriamoci per parlare di sessualità! D’altro canto ho la fortuna di vedere, da parte dei ragazzi, ancora una gran voglia di stupirsi, di conoscere, di crescere, e da parte di molti genitori e insegnanti, un grande aiuto e una continua testimonianza per il mio lavoro, con la disponibilità ad arricchirsi, a mettersi in gioco, anche a 40-50 anni.
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