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Al via la sfida dei comitati sul referendum, FdI frena
4 novembre 1979. Gli studenti iraniani attaccano l’ambasciata americana, protestando per l’estradizione dello scià, rifugiatosi negli Stati uniti. Riusciti a far breccia nel suolo americano catturano 52 diplomatici e funzionari, tenendoli come ostaggi per più di un anno. Sei di loro riescono a sfuggire e a trovare rifugio nell’ambasciata canadese, se verranno scoperti, saranno sicuramente uccisi. La CIA deve agire in fretta per poterli salvare e riportarli a casa.
Da questo fatto realmente accaduto parte Ben Affeck per raccontare una delle operazioni più sensazionali che coinvolse in una cooperazione impensabile tra Canada, USA e Hollywood. Segretata fino al 1997, anno in cui Bill Clinton tolse il segreto di Stato sull’intera faccenda, l’operazione Argo si dimostra perfetta per trarne un film: un eroe/antieroe come protagonista (la cui vicenda privata pur caratterizzandolo non prevale mai rispetto al suo ruolo strategico), il tanto luccicante quanto finto mondo del cinema sullo sfondo, le agenzie dei diversi stati a coordinare l’operazione.
Il film inizia con una folgorante quanto adrenalinica scena di invasione e finisce con un’ansiogena liberazione, che fa letteralmente togliere il fiato. In mezzo la preparazione, tra ostacoli e facilitazioni, di un piano folle messo in piedi da Tony Mendez, specializzato in operazioni sotto copertura. L’estradizione, solitamente operata nel segreto e nel silenzio, viene questa volta pubblicizzata con tanto di conferenze stampa e giornalisti interessati. Possibile? Sì, perché il geniale piano di Mendez è quello di far credere a tutti, iraniani e americani compresi, l’imminente produzione di un film di fantascienza (il cui titolo è per l’appunto Argo e che molto richiama Star Wars) ambientato proprio in Iran, così facendo i sei rifugiati potranno tornare a casa fingendosi parte della troupe canadese in viaggio peri sopralluoghi del caso.
La trama di sicuro appeal non basta però a fare di Argo uno dei favoriti agli Oscar, ma la bravura di Affleck sta nell’usarla con estrema intelligenza riuscendo a renderla ancora più appetibile. Alla sua terza regia, dopo i convincenti Gone Baby Gone e The Town, l’attore ha confezionato Argo come un film anni ’70, con un manieristica attenzione verso i particolari (sia di scenografia che di attori, scelti in base alla somiglianza fisica con i veri protagonisti della vicenda, come si vede nei titoli di coda) che fanno piombare lo spettatore direttamente in quell’epoca: dai costumi, alle musiche –che vanno dai Led Zeppelin ai Dire Straits- fino alla stessa grana della fotografia e i titoli di testa con il vecchio logo della Warner, tutto è stato “invecchiato” e reso credibile.
La sensazione è proprio quella di vedere un vecchio film di spionaggio e operazioni segrete ma con molto sentimento in più, e aiutato da un cast equilibrato ma dal passato televisivo (menzione speciale per John Goodman e Alan Arkin, una coppia favolosa) e un finale come detto adrenalinico ma che sfocia nella commozione e nell’entusiasmo, Argo si prenota per fare incetta di premi.
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