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Uno dei grossi problemi del cinema è l'adattamento di un'opera di successo, si sa.
L'urlo è però un esempio su come un poema tanto difficile quanto controverso possa essere messo su schermo senza snaturarne il linguaggio provocatorio e liberatorio che ha simboleggiato alla sua uscita a metà degli anni '50.
Presentato al Sundance Festival prima e a Berlino poi, l'Urlo ha avuto da subito il consenso della critica e degli addetti ai lavori per l'interpretazione magistrale di James Franco -che ha voluto modellare la sua voce a quella delle registrazioni di Ginsberg- e per la meticolosità della ricerca della verità che il regista Jeffrey Friedman ha intrapreso.
James Franco e Aaron Tveit nei panni di Allen Ginsberg e Peter Orlovsky
Per far questo il film non si struttura quindi come una storia lineare che progredisce assieme ai suoi protagonisti ma cerca, attraverso la visione di tre diverse situazioni, di far luce sulle parole di Ginsberg e sulla loro origine.
Da una parte vi è dunque la ricostruzione del processo che l'editore Lawrence Ferlinghetti subì per aver pubblicato Howl and other poems e per cui venne accusato di oscenità e devianza sessuale, dall'altra la narrazione da parte di Ginsberg stesso della sua giovinezza, dell'amicizia e la stima per Kerouac e gli altri scrittori beat, dei viaggi attraverso l'America e della consapevolezza e l'accettazione dell'omosessualità prima e del suo genio poetico poi.
Infine c'è la lettura di parti del poema che prende così vita davanti ai nostri occhi grazie a sequenze animate che tanto dal futurismo e dal naïf prendono.
Siamo quindi di fronte ad un documentario che parla il linguaggio stesso di Ginsberg più che a un film di fiction nella sua accettazione classica e forse proprio per questo la visione risulta così ostica. Ma dopo un'iniziale diffidenza, ci si lascia trasportare dal ritmo e dalla forza delle parole del poeta che acquistano, purtroppo, un valore ancora attuale.
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