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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Don Andrea GuglielmiDon Andrea Guglielmi
Contributor
Bassanonet.it

Pro Vocazione

E uscimmo a rivedere ... i muri

Se il Covid è sinonimo di isolamento e distanze, due passi in centro saranno il vaccino migliore per guarire dall'individualismo galoppante, che contagia più del virus

Pubblicato il 15-02-2021
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Bassano (...) per benefiche istituzioni non è forse seconda a verun altra: i molti asili e ospizi aperti a pro della disgraziata umanità fanno fede del bel cuore e del generoso sentire de’ suoi cittadini (Jacopo Ferrazzi, 1847).

Se tra gli effetti collaterali del Covid sentiamo l’intorpidirsi della fantasia e della partecipazione alla vita della polis, mentre dilagano pessimismo e chiusura, questo giudizio così lusinghiero dell’abate Ferrazzi ci stimola a riavviare la memoria, ad attingere energie sane dalle nostre radici e sorgenti, a riattivare i circuiti della comunità.

La lunetta dipinta quattrocentesca dell'antico ospizio pubblico 'Ca' di Dio' in via Barbieri (archivio Bassanonet)


Generare spazi di accoglienza per il bisognoso appartiene al DNA bassanese: le orfane e gli orfani, gli infermi e i pellegrini, i neonati “esposti”, gli anziani, i senza-fissa-dimora, i portatori di handicap, le donne maltrattate... Dal 1200 ai giorni nostri, individui e famiglie hanno aperto le porte di casa, hanno allargato le loro abitazioni, hanno inventato edifici e strutture per evitare che questi fratelli più fragili restassero soli, abbandonati a se stessi.

Immaginatevi una passeggiata in centro a Bassano, con i tepori della primavera; genitori e figli, compagnie di amici, gruppi parrocchiali, classi di studenti: tanti occhi che scrutano i muri, calamitati dalla storia che anche le pareti sanno raccontare.

Imboccate via Barbieri e a sinistra vedete palazzo Agostinelli: vi siete accorti che esiste ancora una lunetta quattrocentesca, con la Madonna, il Bambino, i santi? Sapevate che lì c’era, fin dal tredicesimo secolo, la “Ca’ di Dio”, ospizio pubblico destinato ai pellegrini e ai bisognosi?

Andate in piazza Libertà e fate un applauso al Miazzi, che nel ‘700 reinventa la chiesa di San Giovanni, affacciandola con un colpo di genio al cuore della città; l’origine più remota di questo patrimonio architettonico è il 1308: Iacobino De Blasi fa costruire un oratorio dedicato a San Giovanni Battista, con annesso ospedale per infermi poveri. L’opera assistenziale si sviluppa nel ‘400, lungo l’attuale via Marinali, “Al Pozzo”, quando il signor Zambello dona la sua casa alla confraternita di San Paolo. Duecento anni dopo, a pochi metri di distanza, identica scelta: Carlo Austoni lascia in eredità la sua dimora, perché venga fondato il nuovo ospedale.

Tornate in piazza Garibaldi e scendete in via Museo. Siamo a metà del ‘700; don Giorgio Pirani ospita nell’abitazione di famiglia le prime “zitelle periclitanti”. Don Marco Cremona seguirà il suo esempio, e la lunga storia dei due orfanotrofi ha il sapore di case che si allargano sempre di più, per garantire spazi di accoglienza e formazione ai fanciulli e alle ragazze privi di affetto e di futuro.

Salite lungo via Matteotti e osservate a destra, dopo il municipio, la chiesetta dedicata alla Madonna del Patrocinio. Immaginate nell’Ottocento un pretino, che si chiama don Luigi Colbacchini; ogni domenica celebra l’eucaristia per i poveri. Ci siete anche voi, adesso, alla funzione religiosa, e vi spiazza l’arrivo di un barbiere, Giacomo Cima, che si porta dietro 24 clochard; sono tutti anziani e dormono a casa sua; alla domenica si lavano e lui rade barba e capelli; poi si va a messa da don Luigi. Avete capito come mai a Bassano esiste da tempo una casa di riposo che si chiama I.S.A.C.C.? Le due “C” sono i loro cognomi: Cima-Colbacchini.

L’elenco dei volti e dei luoghi si prolunga all’infinito; come si fa a raccontare la storia di questa città senza pronunciare certi nomi? Elisabetta Vendramini, Gaetana Sterni, Bortolo Zanchetta, Tarcisio Frigo. Questi personaggi non sono ... “single”! Attorno a loro si muovono famiglie intere, comunità religiose e un territorio in fermento costante.

Se il Covid è sinonimo di isolamento e distanze, due passi in centro saranno il vaccino migliore per guarire dall’individualismo galoppante, che contagia più del virus. Se questo morbo aggredisce il senso del gusto, ritroveremo il sapore di aiutare chi è debole “camminando insieme”, superando i protagonismi sterili, muovendoci dentro una rete che non è soltanto virtuale.

Se gli africani ci insegnano che “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, allora è tempo che il grande villaggio bassanese si ricomponga, per trasmettere ai più giovani una memoria generativa.

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