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Finirà prima o dopo la pandemia. Usciti dal tunnel dell’emergenza sanitaria entreremo nel tunnel dell’incertezza causata dall’inflazione, dalla scarsità delle materie prime e dai venti di guerra (si spera solo “fredda”). Non si tratta di pessimismo, è la normale cronologia dei nostri tempi. A noi interessa un lato preciso di questo momento: come reagiranno i distretti industriali veneti, vicentini e bassanesi di fronte a questo vortice continuo di sollecitazioni e oscillazioni. Le aziende e i nostri territori riusciranno ancora a farsi “concavi e convessi” pur di competere sui mercati? Lo abbiamo chiesto ad uno dei più importanti studiosi italiani dei territori, nelle loro forme produttive, sociali e antropologiche. Aldo Bonomi, fondatore del consorzio di ricerca Aaster, da poco ha pubblicato “Oltre le mura dell’impresa”, un saggio illuminante sulla nuova dimensione delle imprese che si proiettano oltre il capannone e contribuiscono a plasmare i confini delle moderne “piattaforme territoriali”. In esclusiva per Bassanonet, l’inventore del capitalismo molecolare parte da Bassano per scrutare i cambiamenti in atto nell’economia veneta.
Professor Bonomi, archiviata la pandemia quale sarà il grande cambiamento con cui dovrà fare i conti il nostro capitalismo?

Il sociologo Aldo Bonomi, fondatore del consorzio di ricerca Aaster
«Dividerei in due momenti la temporalizzazione dei problemi: già prima della pandemia nei distretti veneti era in atto un processo di trasformazione. A cavallo degli anni Duemila, l’economia del Veneto ha vissuto diverse fasi: quella della metamorfosi, poi quella dell’evoluzione e infine un processo di selezione di quel grande aggregato che si chiamava capitalismo molecolare. Dalla dimensione pulviscolare delle microimprese, il cosiddetto “casannone” (casa+capannone), negli ultimi vent’anni il Veneto ha giocato la partita della crescita dimensionale. Una tappa obbligata per stare da vincenti dentro alle filiere internazionali. Bassano è uno dei tanti centri di questa evoluzione che dalle filiere produttive si innerva dentro alla società».
Nel 2008, dopo la metamorfosi era arrivata la “grande crisi”, il mostro economico precedente alla pandemia.
«Sono gli anni della selezione, quelli che hanno diviso le aziende tra quelle che riuscivano a connettersi con le filiere e quelle che chiudevano. Il Covid è destinato a ridisegnare ancora le filiere, a rimodellarne le prossimità e le funzionalità. L’interruzione fisica del mondo per molti mesi ha interrogato proprio sulla funzionalità di molte di queste filiere. Pensiamo all’automotive, alle rivoluzioni che arriveranno su questa catena del valore. Il modello è in cambiamento, non si ragionerà più solo in termini di imprese e distretti ma in termini di piattaforme territoriali».
Qui siamo sopra la piattaforma della Pedemontana.
«Uno straordinario esempio di piattaforma territoriale che ha le dimensioni e le caratteristiche per competere nel mondo. I nuovi sistemi territoriali si formano grazie all’impulso delle imprese che escono dalla dimensione fisica delle “loro mura”. Un modello economico, sociale, abitativo, di innovazione, di coltivazione dei saperi che si tiene assieme dal capannone fino all’Università. Un modello che si innesta anche nelle istituzioni: pensiamo al ruolo svolto dalle vostre parti durante la pandemia dalla medicina territoriale. Pur tra mille difficoltà ha tenuto meglio che da altre parti».
Quindi il futuro del vecchio capitalismo molecolare non si giocherà solo dentro ai capannoni, come si pensava fino a qualche anno fa.
«Nel mondo competono i sistemi produttivi che poggiano su piattaforme connesse alle reti digitali evolute, dentro ai grandi sistemi viari, sfruttando le teorie della logistica avanzata. La battaglia politica da voi si chiama Alta Velocità. Il mezzo per mantenere l’area Pedemontana in una logica di grande e moderna fabbrica a cielo aperto collegata alle altre ricchezze della società veneta. Solo una piattaforma tiene assieme le terre alte e quelle basse, i piccoli comuni e le città intermedie, i distretti e gli embrioni delle aree metropolitane in formazione. Come si tiene assieme altrimenti Padova città Unesco con il distretto della concia di Arzignano e il distretto del piacere di Jesolo? Il modello della piattaforma lega scuola, università, imprese, cultura, nuova rappresentanza in una visione comune del futuro».
Perché prima com’era la logica della rappresentanza qui da noi? Per prima intendo negli ultimi vent’anni.
«Un modello ancora novecentesco, diviso in tante piccole canne d’organo. Gli artigiani e le piccole imprese, Confartigianato, CNA, tutti con le loro richieste. Il mondo agricolo con le sue, le aziende medie con la Confindustria. I sindaci, veri rappresentanti della “condensa” dei bisogni di un territorio, si occupavano della parte più politica».
Il mitico Pojana di Andrea Pennacchi è una maschera strepitosa ma forse non rappresenta più la maggioranza degli identikit di chi fa impresa tra Rosà e Valdagno. Quali sono i bisogni di rappresentanza in queste piattaforme?
«Il processo di mutazione è già in atto, sono d’accordo. Da tempo il capitalismo dei piccoli ha messo la testa oltre il recinto del capannone. Della Pedemontana e dell’Alta Velocità se ne occupano più le associazioni di categoria che la politica. Sono proprio le piattaforme territoriali che spingono per modellare sulle loro esigenze i nuovi crocevia della grande viabilità».
Nella pancia del Veneto profondo in questi due anni di pandemia si è visto un nuovo movimentismo. Le sacche di resistenza contro le misure sanitarie, il mondo No green pass per semplificare, si sono collegate per esempio alle storiche aree dell’indipendentismo. Su fratture sociali diverse si stanno formando aree omogenee di coesione?
«Non entro nel merito dei singoli segmenti del rancore molecolare. Fino ad ora abbiamo parlato delle “punte alte” dei processi. La metamorfosi dei modelli produttivi è sempre accompagnata dal cambiamento della società. In questo processo sociale sarà cruciale salvare i “sommersi” insieme ai già “salvati”. Lo si può fare tenendo assieme l’innovazione che viene dalle Università, l’Alta Velocità, le aziende internazionali, le nuove professioni, con chi rimane indietro. La pandemia ha scavato nuovi solchi nell’antropologia urbana. Bisogna rileggere con attenzione “Works” e i libri del grande Vitaliano Trevisan».
A Bassano hanno manifestato per settimane, praticamente ogni sabato, contro le misure sanitarie tante realtà diverse tra loro. Mondi che hanno bisogno di essere ascoltati.
«Dopo la crisi del 2008, l’altra faccia delle filiere che cambiavano era rappresentata dai suicidi degli imprenditori che non ce la facevano. Adesso bisogna occuparsi degli impauriti, di quelli che affrontano il cambiamento in una condizione di fragilità. La pandemia ci ha messo la paura del corpo, soprattutto di quello degli altri. Chi fa rappresentanza, la scuola, i sindacati, le professioni nuove e vecchie, le categorie, deve occuparsi di tutte le istanze delle comunità operose. Prosperano quelle piattaforme, quelle comunità operose appunto, che salvano anche le comunità rancorose».
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