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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Attualità

Jacopopulos

Alla mostra “El Greco. Un pittore nel labirinto” a Palazzo Reale a Milano esposto il “San Martino” di Jacopo Bassano accanto a quello del grande artista greco e spagnolo di adozione, folgorato dalla pittura del maestro bassanese

Pubblicato il 22-01-2024
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Lo chiamavano El Greco.
Sembra il titolo di un western. In effetti la vita di Doménikos Theotokópoulos, detto El Greco, nato nel 1541 a Candia, l’odierna Heraklion, nell’isola di Creta, quando l’isola era uno Stato da Mar sotto il dominio della Repubblica di Venezia, è stata una personalissima avventura alla conquista del West.
West inteso come l’occidente d’Europa, dove il buon Theotokópoulos, nato artisticamente come pittore di icone nello stile bizantino della sua terra di origine, ha assorbito gli influssi dei maestri del suo tempo, pittori veneti in primis, per poi sviluppare il suo inconfondibile tratto che ha precorso alcuni stili pittorici della nostra modernità.

Jacopo Bassano, ‘San Martino e il mendicante con Sant’Antonio Abate’, c. 1578 (Bassano del Grappa, Museo Civico) e El Greco, ‘San Martino e il mendicante’, c. 1597-99 (Washington, National Gallery of Art)

È il racconto per immagini della mostra “El Greco. Un pittore nel labirinto”, allestita nel Piano Nobile di Palazzo Reale in piazza Duomo a Milano, inaugurata lo scorso 11 ottobre e aperta al pubblico fino al prossimo 11 febbraio.
Promossa dal Comune di Milano, prodotta da Palazzo Reale e MondoMostre, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia, e curata da Juan Antonio García Castro, Palma Martínez - Burgos García e Thomas Clement Salomon, la mostra espone oltre 40 opere del maestro cretese, più alcuni dipinti di artisti del suo tempo, per gettare nuova luce sulla figura di questo pittore controverso, visionario e innovatore a tal punto da non essere stato compreso nella sua epoca.
Ma prima di capire perché ne scrivo su Bassanonet (anche se vi ho già dato una traccia nel titolo e nel sottotitolo), dobbiamo ripercorrere velocemente le note biografiche di Doménikos detto El Greco.

La vita di Theotokópoulos è stata segnata dalla continua ricerca di formule artistiche che lo portarono ad esplorare linguaggi sconosciuti e assolutamente personali.
Nel 1567, dalla nativa Creta, si trasferisce a Venezia per diventare un pittore “occidentale”, lasciandosi alle spalle la tradizione dell’arte bizantina.
A Venezia, dove rimane fino al 1570 circa e poi a Roma, nello squisito ambiente dei Farnese, dove permane fino al 1576-77, avviene la sua prima trasformazione diventando un pittore “alla maniera latina”, caratterizzata dall’uso del colore e della macchia come base della pittura.
Tuttavia, nel complesso ambiente artistico italiano non riesce a trovare un mecenate e quindi decide di tentare la fortuna in Spagna, dove vivrà i restanti trentasette anni della sua vita.
Arriva a Toledo nel luglio del 1577 all’età di 41 anni, con la speranza di ottenere un incarico dal re Felipe II e di essere nominato pittore della Cattedrale, ma non riesce a realizzare nessuno dei suoi sogni per il carattere difficile e l’originalità artistica delle sue composizioni, troppo “avanti” per la sua epoca.
Tuttavia, la città castigliana gli fornisce un ambiente di amici e di fedeli clienti che gli garantiscono importanti commissioni e qui fonda anche una bottega, alla maniera delle botteghe veneziane.
Lontano da mode e correnti, a Toledo El Greco ritrova lo spirito adatto per continuare ad indagare un linguaggio artistico sempre più personale, astratto e stravagante.
Muore a Toledo il 7 aprile 1614.

Ma come ha fatto un pittore di icone cretesi-bizantine, caratterizzate da figure piatte, senza gestualità e senza prospettiva, a stravolgere il suo modo di affrontare la tela?
È ciò che viene spiegato nelle prime due delle cinque sezioni tematiche della mostra di Milano, quelle che fanno in modo che se ne parli anche su Bassanonet.
La prima sezione, intitolata “Un bivio”, presenta gli esordi del pittore nel circolo della produzione cretese di icone e il suo successivo apprendistato a Venezia e poi a Roma che lo porta ad abbandonare la “maniera greca”.
La seconda sezione, “Dialoghi con l’Italia”, espone invece una serie di opere realizzate da El Greco sotto il diretto influsso dei pittori italiani da lui ammirati per l’uso del colore e della luce. Qui le opere di El Greco e quelle dei suoi “maestri” dialogano in una cornice unica.
E tra i suoi “maestri”, Dear Ladies and Gentlemen, c’è anche Jacopo Bassano.
L’incredibile evoluzione artistica del genio greco in formazione avviene in Italia, sotto l’influenza di grandi artisti dei quali non abbandonerà mai gli insegnamenti.
In particolare da Tiziano, da Tintoretto e da Jacopo Bassano apprende l’uso della profondità, del paesaggio e degli sfondi architettonici, la tecnica della macchia, la potenza espressiva del colore. Nella fattispecie, viene folgorato dalle opere del Bassano proprio per l’uso del colore e soprattutto della luce.
E nella sezione “Dialoghi con l’Italia” della mostra milanese sono ben due i dipinti di Jacopo Bassano esposti.
Il primo è il “San Martino e il mendicante con Sant’Antonio Abate”, concesso in prestito dal Museo Civico di Bassano del Grappa, dipinto nel 1578 circa, capolavoro della maturità di Jacopo.
È esposto accanto al “San Martino e il mendicante” di El Greco, realizzato nel 1597-99 circa, proveniente dalla National Gallery of Art di Washington, esplosione di una smagliante costellazione di colori, opera tra le più note dell’artista cretese.
Il San Martino del Bassano, accostato all’omologo per analogia tematica, non può essere preso a modello diretto del dipinto di El Greco perché Jacopo lo dipinse quando quest’ultimo se ne era già andato via da Venezia.
Ma è un fulgido esempio della maniera dalpontiana del settimo decennio del ‘500, che Theotokópoulos visse in parte in laguna potendo apprezzare l’espressività della luce, l’intensità della pittura e la pennellata pastosa delle opere di Jacopo.
Scrive Isabella De Cecilia nella scheda sul San Martino bassanesco pubblicata nel catalogo di “El Greco. Un pittore nel labirinto”:
“Una forza pittorica di grande modernità, quella espressa dalla produzione di Jacopo Bassano, che dovette suggestionare profondamente il giovane El Greco.”
La seconda opera dalpontiana esposta a Palazzo Reale è “La deposizione di Cristo dalla Croce”, olio su tela datato 1590 circa e concesso in prestito dal Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, notevole esemplare di quell’ultima fase di Jacopo che a me piace definire il suo “periodo dark”.
Il dipinto è la quintessenza del chiaroscuro, con tratti liberi e raffinati di pennello che delineano le figure illuminate da una torcia che emergono dalle tenebre dello sfondo.
Un risultato portato all’estremo, dopo un’intera vita di ricerca pittorica, di quella capacità di dipingere con la luce che tanto impressionò, ammirando i quadri del Bassano, il giovane Doménikos Theotokópoulos in terra veneziana.

Non è la prima volta che l’influsso del Bassano sull’arte di El Greco - oggetto anche di studi specifici come “El Greco e Jacopo Bassano” di Enrico Dal Pozzolo, 1999 - viene pubblicamente messo in evidenza.
La correlazione era già emersa nella storica mostra “Da Tiziano a El Greco. Per la storia del Manierismo a Venezia” allestita a Palazzo Ducale a Venezia nel 1981.
Inoltre, la mostra “El Greco in Italia. Metamorfosi di un Genio”, tenutasi alla Casa dei Carraresi di Treviso nel 2015-2016, si era proprio concentrata sui confronti di El Greco con i maestri a lui prediletti come Tiziano, Tintoretto e Jacopo Bassano.
In particolare, a Treviso “La Flagellazione di Cristo” del pittore greco era stata messa in correlazione con l’“Allegoria del Fuoco” di Jacopo, in prestito dalla Maison d’Art di Montecarlo, modello di quel contrasto tra luci e ombre che costituisce l’insegnamento principale dell’artista di Bassano al futuro artista di Toledo.
Ma con la mostra di Milano, l’eredità “bassanese” del genio nato a Candia viene ulteriormente consacrata al pubblico interesse.
È la conferma che dietro ai capolavori di El Greco c’è anche il segno ispiratore di un suo grande contemporaneo: il nostro Jacopopulos.

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