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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Modalità lettura 1 - n.12

Una recensione dell'autobiografia intitolata La mia vita, un ritratto inedito della maestra del giallo Agatha Christie

Pubblicato il 24-05-2020
Visto 923 volte

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Rinascimento in bianco e nero

La mia vita (Oscar Mondadori, 2018, 624 pagine, 14,50 euro), di Agatha Christie, è un libro che andrebbe letto in viaggio — un viaggio lungo, di quelli da Orient-Express.
Agatha Christie iniziò a scrivere l’autobiografia nel 1950 e la terminò nel 1965, a settantacinque anni. Il desiderio di scrivere della sua vita la assalì nella “casa” di Nimrud, sul Tigri, dove si era trasferita per un lungo periodo per collaborare al lavoro del secondo marito, l’archeologo Max Mallowan (Nimrud and its Remains è anche il titolo di un saggio scritto da Mallowan). I biografi affermano che Mallowan si risposò l’anno successivo alla morte di Agatha e che morì a sua volta l’anno dopo.
«Ho ricordato quello che volevo ricordare», scrive opportunamente l’autrice, e l’ha raccontato senza troppi vincoli di tempo e di spazio, seppur rispettando una certa cronologia, facendo emergere una personalità e una vitalità birichine, sfrenate, gaudenti, che non ci si aspetterebbe dalla creatrice di Miss Marple e di Hercule Poirot: l’immagine della scrittrice britannica è mal restituita in un immaginario collettivo modellato anche da una certa filmografia, che le attribuisce un profilo del tutto incongruo.

una rappresentazione teatrale di un celebre giallo di Agatha Christie

Come in tante altre “buone” autobiografie, anche in questa la parte da padrone la fa in sottotraccia un resoconto d’autore di passaggi epocali, di mode e di passioni; vi fanno la loro comparsa tragedie e conflitti mondiali; c’è una continua restituzione di sguardi e di riflessioni riguardanti il mondo in continuo cambiamento che viene attraversato nel corso di un’esistenza particolare, pubblica, quasi sempre trascorsa sotto i riflettori.
Bambina della medio-alta borghesia anglo-americana, nata nella riviera di Torquay, Agatha, dribblando la presenza invadente dei fratelli, ricamava attorno a sé atmosfere da lecca-lecca e ovatta; amava la lettura, ma anche le brughiere, i bagni e il mare, le gite da scavezzacollo, e ha cominciato già da piccola ad animare mondi e personaggi fantastici, frutto di un’immaginazione fervida, galoppante. Grande amante dei viaggi e delle civiltà antiche, da giovane Agatha si rivela presto una cittadina del mondo.
Si sposa due volte, la prima con il bell’aviatore Archibald Christie, spesso assente a causa della guerra. Christie la lascerà una decina di anni dopo provocando un bel trambusto nella vita di Agatha — ma lei non ne fa menzione nell’autobiografia. In seguito si sposerà col giovane Mallowan, anche questo un matrimonio spesso a distanza, ma contraddistinto da un grande affetto.
Ebbe una figlia, Rosalind, alla quale ha sempre guardato come a un essere indipendente e forte, tanto da affidarla in tutta tranquillità e senza rimorsi ad altri durante le lunghe permanenze all’estero. Anche quando una malattia dal decorso grave ha colpito la bambina, Agatha presente e attiva nel suo ruolo di crocerossina— lo farà spesso anche in zone di guerra e situazioni di pericolo —racconta di essere sempre stata fiduciosa nella guarigione della piccola, nella sua resistenza da araucaria. Per quanto riguarda se stessa, sembra che abbia affrontato intrepida e quasi sovrappensiero anche un’infezione grave e altri incidenti quasi letali che la colpirono all’estero.
I libri (l’elenco dei titoli è impressionante, alcuni pubblicati sotto pseudonimo) e le opere teatrali fanno capolino ogni tanto nel testo, in gran parte come lavoro da smaltire in fretta, in attesa d’altro, anche come viatico che consente mantenimento e vita agiata: un tramite per poter inseguire le proprie passioni e nello stesso tempo presenze ingombranti, numerose, rivelatrici di una passione insopprimibile per la scrittura.
C’è una sorta di leggerezza che permea l’intera biografia, di cui non si sa se fidarsi o meno, che provoca una sorta di ambivalenza nel lettore, messo di fronte alla vita narrata di una scrittrice amata, di grande successo e popolarità, che afferma che è contenta di tutto ciò che ha avuto e che nell’epilogo ringrazia Dio, per la tavola che le ha apparecchiato e la buona cena. Perché non crederle? Non indugia nel dichiarare insuccessi, tristezze, difetti ed errori, Agatha, e ci sono umiltà e onestà, in queste dichiarazioni agganciate a tanti fatti accaduti e raccontati con generosità nel libro. Ha ricordato quello che voleva ricordare, e ha deciso che la cifra del ricordo è la positività, che l’assetto di ogni viaggio intrapreso è la gratitudine.

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