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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

Un segreto lungo cent'anni: l'intervista a Marco Cavalli

Intervista a due voci sul mistero del baule di Antonio Fogazzaro

Pubblicato il 04-01-2011
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Rinascimento in bianco e nero

Antonio Fogazzaro esce spesso martoriato dalle antologie scolastiche, sintetizzato in bozzetti non sempre fedeli e forse irriguardosi nei confronti della complessità del suo pensiero e della sua opera

Fogazzaro, caso abbastanza unico nella storia delle patrie lettere, ha avuto anche in vita il successo che si meritava, né più né meno. Anche la critica non ha preso abbagli su di lui, lo ha giudicato per quel che valeva. Fogazzaro scrittore non ha suscitato interpretazioni controverse. Non c’è alcun bisogno di dargli giustizia, di rettificare le opinioni su di lui. Questo può risultare un inconveniente perché frena l’interesse dei posteri, interesse che è quasi sempre revivalistico. È molto più gratificante riabilitare una reputazione che confermarla. In effetti c’è gran poco da aggiungere alle analisi di Benedetto Croce, Piero Nardi, Pietro Pancrazi. Come poeta Fogazzaro era scarso, come drammaturgo mediocre. Come romanziere, fino a Piccolo mondo antico è uno dei migliori, forse il solo scrittore italiano dell’Ottocento che regga il paragone con Manzoni (lasciamo stare il confronto con gli scrittori europei, che pure conosceva bene). A partire dal 1901 in lui prevale l’ideologo, il divulgatore di un evoluzionismo mistico rispetto al quale il romanzo svolge un ruolo servile, propagandistico. Sì, nell’insieme Fogazzaro appare monolitico. Magari si tende a semplificarlo, ma è anche vero che non è uno scrittore complesso, stratificato, di spropositata ricchezza stilistica e di pensiero.

Marco Cavalli


Proviamo a fare qualche semplice previsione: l’autore di “Piccolo mondo antico” avrà deciso di svelare dei segreti che riguardano il suo piccolo mondo domestico, un vero amore a cui donare così l’immortalità, oppure di rivelare, in una scommessa col tempo, previsioni storiche, analisi lucide e indicibili all’epoca in cui viveva. Quale delle due ipotesi vi incuriosisce di più?

Intanto io non so se le disposizioni circa l’apertura delle carte sigillate esprimano una volontà precisa di Fogazzaro o siano una direttiva del suo pronipote, il marchese Roi. L’ipotesi più verosimile è che si siano voluti congelare per un secolo documenti di carattere privato che potevano bruciare le dita a qualcuno qualora l’entourage di Fogazzaro ci avesse messo sopra le mani prima del tempo. È il tipo di provvedimento che si prende con gli scritti postumi che rischiano di ferire qualche contemporaneo o qualche discendente dell’autore. Nel caso di Fogazzaro si è voluto frapporre un numero rassicurante di anni tra la sua morte e una eventuale pubblicazione delle carte sigillate. Il fatto che Fogazzaro non le abbia bruciate significa che le riteneva preziose e degne di essere tramandate. Questo però non aiuta a identificarle. Se ha ragione Emilio Franzina, se cioè il baule contiene la corrispondenza amorosa di Antonio Fogazzaro con Felicitas Buchner, si tratterebbe di una leccornia per i biografi e i collezionisti di aneddoti. Capisco l’impazienza di Franzina, che è uno storico, ma non la condivido. Possediamo già una quantità di materiale sulla vita di Fogazzaro, tra fotografie, note della spesa, stilografiche e piegabaffi. Tutta roba interessante ma inutile ai fini della promozione dell’opera letteraria, che per me resta preminente. La biografia di uno scrittore non riesce mai a colpirmi quanto l’opera, che del resto spiega e accende la curiosità verso la biografia. Quando uno scrittore si fa ricordare per le vicende della sua vita, è segno che l’opera è debole o è stata dimenticata. Personalmente, preferirei che dal baule di Fogazzaro saltasse fuori un romanzo inedito, ma non ci credo. Non si capirebbe il perché di un vincolo temporale così preciso. Tante cautele e segretezze suonano come scuse fatte in anticipo. E si sa che qui s’excuse s’accuse. Stiamo a vedere.

Cosa può muovere il desiderio di destinare una sorpresa ai posteri, a tempi e a persone sconosciuti, a una realtà aliena come quella che ci sopravvive dopo cent’anni, e che potrebbe vedere con dispositivi ottici imprevedibili piccola e insignificante ogni nostra grandezza?

C’è una cosa da dire in proposito. Parto dall’assunto che sia corretta l’ipotesi di Franzina. È innegabile che un carteggio Fogazzaro-Buchner avrebbe un valore di testimonianza storica, innanzitutto. Ma certi scrittori – e Fogazzaro secondo me rientra tra questi – fanno molta fatica a tenere separata la vita dall’opera letteraria, non solo in quanto la vita offre loro lo spunto per scrivere, ma anche nel senso che ci sono episodi nella vita di un Fogazzaro, come appunto una relazione adulterina, in cui la precedenza è accordata all’uomo ma che producono occasioni di scrittura troppo frequenti perché lo scrittore non se ne immischi. Voglio dire che Fogazzaro potrebbe aver scelto di salvare le lettere alla Buchner non per salvare la memoria della storia d’amore che le ha ispirate. Potrebbe averle salvate perché scritte bene, per un loro valore estetico del tutto impersonale emerso in retrospettiva. Non ci sarebbe niente di sorprendente - e niente di nuovo - in questo. Ma chi può dirlo con certezza?

Lo scrittore, l’artista possono godere di una sorta di immortalità attraverso le loro opere, un privilegio che condividono ad esempio con gli uomini delle scienze. Ai nostri tempi, la palma dell’immortalità sembra essere alla portata anche di personaggi davvero poco mitici, grazie all’amplificazione delle loro “gesta” da parte dei media. Sempre ai posteri l’ardua sentenza?

Ogni epoca ha i suoi feticci, non bisogna credere che l’opinione pubblica sia un’invenzione recente e particolarmente perversa solo perché nel frattempo si è raffinata e noi ne siamo più facilmente esposti. Anche il passato ha avuto i suoi Baricco e i suoi Camilleri e i suoi Faletti. Allora si chiamavano magari Paul De Cock e Octave Thanet e Alfredo Panzini, vendevano vagonate di libri sul cui pregio non esistevano dissensi a livello di opinione pubblica accreditata. Oggi non sappiamo nemmeno collocarli, sono puri nomi senza un volto e, ahiloro, senza un’opera. Non è difficile incoronare un Melville o un Busi, difficile è riconoscerne la grandezza quando su di essa non c’è ancora unanimità. In questo i lettori, che siano sudditi dei media di massa o organici agli apparati di Stato, non sono per niente cambiati.

Un “baule” da destinare al 2111: contiene un libro, o un film o un’opera d’arte contemporanei, alcune scommesse di immortalità

D’impulso mi viene da dire che in un baule da consegnare alle prossime generazioni metterei le opere complete di Aldo Busi. Ma si dà il caso che sia più facile per i libri di Busi fare da testimonial ai nostri tempi che non immaginare i nostri tempi tramandare i libri di Busi. E poi le opere di Busi non sono segregabili nemmeno a scopo salvifico. Farebbero esplodere il baule prima del tempo stabilito per la sua apertura.







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