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L'eventuale risoluzione o revoca del rapporto con il Concessionario della Superstrada Pedemontana? Costerebbe alla Regione Veneto oltre 2 miliardi di euro. Lo specifica un documento del segretario generale della Programmazione
Pubblicato il 14-03-2017
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Oltre 2 miliardi di euro. È l'ammontare del rischio di esborso per le casse della Regione Veneto in caso di risoluzione o revoca del rapporto di concessione della Superstrada Pedemontana Veneta con il Concessionario privato dell'opera viaria Consorzio Stabile SIS.
Lo stabilisce una “nota di chiarimenti” inviata oggi dal segretario generale della Programmazione della Regione Ilaria Bramezza alla Commissione 1 (Bilancio e programmazione) e Commissione 2 (Territorio e infrastrutture) del consiglio regionale del Veneto.
Il documento è stato redatto in risposta alle richieste di alcuni gruppi del consiglio regionale relative alla fattibilità e alle conseguenze di un'eventuale risoluzione o revoca del rapporto col Concessionario.
Fonte immagine: commissariopedemontana.it
Il segretario generale Bramezza è anche membro della “Direzione della Struttura di Progetto” della SPV nominata dal governatore Luca Zaia dopo il passaggio di competenze per la gestione dell'iter dell'infrastruttura dal decaduto Commissario straordinario di governo Vernizzi alla Regione stessa.
Di seguito pubblichiamo integralmente il testo della nota di chiarimenti, leggendo la quale si evince che un eventuale “licenziamento” di SIS si tradurrebbe, per il bilancio regionale, in un autentico bagno di sangue:
SPV: Fattibilità e conseguenze dell’eventuale risoluzione o revoca del rapporto con il Concessionario
Premesso che la Convenzione 2009 e il successivo Atto Aggiuntivo 2013 non prevedevano esplicitamente alcun termine per il closing e quindi nessuna clausola di risoluzione contrattuale per inadempimento del tipo “interruzione dei lavori per mancato reperimento delle risorse finanziarie sul mercato” o altre clausole attivabili ai quei fini, il Concedente, proponendo la risoluzione del contratto avrebbe aperto una controversia con criticità facilmente prevedibili.
1) Sarebbe sorta prevedibilmente controversia fra le parti, anzitutto sul punto se l’interruzione dei lavori da parte del Concessionario configuri inadempimento grave da parte sua (e non lo è, perché non regolamentato), tale da giustificare la risoluzione del rapporto e il diritto del Concedente a chiedere il risarcimento di tutti i danni così subiti.
2) Il Concessionario verosimilmente avrebbe cercato di difendersi richiamando la clausola contrattuale che prefigura modifiche contrattuali, ove necessarie, a garantire la finanziabilità del progetto, e più in generale il venir meno di uno dei presupposti sui quali era fondato l’equilibrio del PEF, per circostanze sopravvenute e accertate da soggetti terzi indipendenti.
3) È immaginabile che avrebbe invocato anche la clausola generale di buona fede, correlata ad una partnership pubblico-privata collaborativa (cfr. Parere Avv. Barel).
4) La controversia si sarebbe estesa di conseguenza anche al piano dell’individuazione delle responsabilità e dei correlativi obblighi risarcitori. A fronte di una domanda risarcitoria da parte del Concedente per risoluzione dovuta a grave inadempimento (e in questo caso non lo è), è prevedibile che il Concessionario avrebbe contrapposto una domanda risarcitoria per violazione da parte dell’Ente Concedente dei patti contrattuali sul punto della disponibilità ad apportare alla convenzione modifiche atte a consentire il finanziamento del progetto e quindi ad un immediato riequilibrio del PEF, secondo buona fede.
Questo scenario, che avrebbe comportato oneri di contenzioso elevati e che sarebbe durato anni, sarebbe stato poi ulteriormente aggravato nell’ipotesi di fallimento del concessionario. Infatti, il contenzioso potrebbe comunque instaurarsi, tra Concedente e Fallimento, senza prospettive concrete di ristoro nel caso di esito vittorioso per la Regione, e per converso con il perdurare di rischi - di entità non prevedibile ma certo elevata - nel caso di soccombenza regionale.
L’interruzione dei lavori avrebbe causato anche pregiudizi di altra natura, non suscettibili di effettivo ristoro, a carico sia delle imprese subappaltatrici, sia degli altri operatori coinvolti nella realizzazione dell’intervento, sia degli espropriati in relazione alla corresponsione degli indennizzi, sia a danno del territorio, alterato dalle opere eseguite solo parzialmente, sia dell’intera comunità per il ritardo - di durata imprevedibile - che ne sarebbe derivato per il completamento dell’opera. L’interruzione dei cantieri avrebbe pregiudicato anche le opere già eseguite in tutto o in parte, esposte alle intemperie e all’incuria e suscettibili di degrado col trascorrere del tempo; avrebbe infine comportato oneri aggiuntivi ingenti per la futura riattivazione dei cantieri e l’adeguamento della documentazione tecnica.
In sintesi, di seguito sono indicati i rischi non percorribili per la Regione:
1) Rischio di danno erariale per la RV: se la RV paga i danni derivanti da una risoluzione del rapporto concessorio senza che vi siano previsioni contrattuali specifiche, la Corte dei Conti contesterebbe immediatamente un danno erariale in capo al Concedente Regione per le somme erogate senza titolo.
2) Il rischio di esborso di più di 2 miliardi di euro, cioè quanto previsto in convenzione dal risarcimento danni per il Concessionario (clausola comunque non applicabile), che prevedeva:
I costi effettivamente sostenuti dal Concessionario
Le penali e gli altri costi ed altri oneri finanziari sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione o della revoca, ivi inclusi i costi finanziari dei prestiti contratti, comprensivi ad esempio di eventuali oneri, indennizzi e penali dipendenti o dall’anticipata estinzione o risoluzione dei contratti finanziari connessi ai riferiti prestiti
Un indennizzo, a titolo di risarcimento, del mancato guadagno pari al 10% del valore del progetto, cioè il 10% di 18,8 miliardi di euro = 1 miliardo e 880 milioni di euro
L’efficacia della revoca della concessione, da Convenzione, era poi sottoposta alla condizione del pagamento totale di tutte le somme previste.
A questo importo complessivo, sicuramente superiore a 2 miliardi di euro, andrebbero aggiunti i maggiori tempi e costi per la riassegnazione ad altro operatore della concessione.
La risoluzione del rapporto renderebbe infatti necessario, da parte della Regione, individuare ed attivare nuovi mezzi giuridici, secondo le procedure di legge, per il completamento e la gestione delle opere, siano essi appalti o una nuova concessione di costruzione e gestione.
In ambedue le ipotesi, la Regione dovrebbe procurarsi le risorse finanziarie indispensabili (nel caso di appalti), oppure ricercare nuovamente sul mercato forme di partnership atte al reperimento di risorse finanziarie private.
Quindi, l’ipotesi di revoca o risoluzione del rapporto con il Concessionario, ad atti vigenti, non era percorribile.
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