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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Il "Tich" nervoso

L'anima dei ponti

Il significato universale dei manufatti che uniscono due sponde e la rinascita del Ponte di Bassano

Pubblicato il 04-01-2017
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Rinascimento in bianco e nero

“Di tutto ciò che l'uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al malvagio.”
È un passo di un tanto breve quanto stupendo testo del premio Nobel per la Letteratura Ivo Andrić, scritto nel 1963 e inserito nella raccolta “Racconti di Bosnia”. Si intitola, per l'appunto, “I ponti”. E si tratta di una profonda riflessione, concentrata in poche ma pregnanti parole, sul significato nascosto e universale dei manufatti costruiti per collegare e unire due sponde opposte.
Ponti di pietra, di ferro, di legno: “Diventano tutti uno solo e tutti degni della nostra attenzione - scrive il celebre autore bosniaco -, perché indicano il posto in cui l'uomo ha incontrato l'ostacolo e non si è arrestato, lo ha superato e scavalcato come meglio ha potuto, secondo le sue concezioni, il suo gusto e le condizioni circostanti.”

Il "Szabadság híd" (Ponte della Libertà) a Budapest. Foto di Alessandro Tich

Una fervida dichiarazione d'amore per questi testimoni della Storia sospesi sull'acqua: “Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi posto, il mio pensiero vada e si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell'uomo di collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi...”.
Ogni tanto, quando posso, rileggo con piacere questo testo del grande letterato slavo il cui più famoso romanzo, non a caso, si intitola “Il ponte sulla Drina”. Perché nei pensieri espressi da Andrić io mi ritrovo in pieno.
Sono stato infatti sempre affascinato dal concetto dei “confini”, e del limite fisico e geografico che rappresentano, e del loro superamento.
Sarà perché sono cresciuto in un'epoca in cui c'erano ancora i posti di frontiera tra gli Stati europei, la stessa Europa era divisa in due e il Muro di Berlino sembrava invalicabile, ma è così.
E i ponti sono il vero simbolo della pulsione umana a oltrepassare le barriere. Trasformando questo istinto in ardita architettura. Al punto che considero molto fortunate, e incredibilmente attraenti, le città che li possiedono. Come i ponti di Roma, dove sono nato. O i ponti di Venezia, dove ho abitato. O i ponti di Budapest, sul Danubio, dove ho studiato.
Poi il destino mi ha portato a vivere e a lavorare a Bassano del Grappa.
Dove da secoli si erge sul Brenta il Ponte con la P maiuscola. Chiamarlo Ponte degli Alpini - con tutto il rispetto per le penne nere - è riduttivo, perché è il Ponte di Tutti. Diversi anni fa, in un incontro pubblico, un noto architetto bassanese ha sostenuto che la vera piazza di Bassano è il Ponte. Perché esercita in tutto e per tutto le funzioni sociali di una piazza: luogo privilegiato di incontro e di scambio.
Secondo me, quell'architetto ha pienamente ragione. Il Ponte Vecchio non è un monumento, è uno spazio di riferimento vivo e funzionale della città. E non so quante volte mi sono fermato sul parapetto e tra le campate del manufatto già palladiano, di fronte allo skyline del fiume e delle montagne, per godere il puro e semplice privilegio di esserci.
Ho cercato sul web e riletto “I ponti” di Ivo Andrić - cosa che tra l'altro comporta un impegno di pochi minuti - dopo avere scritto l'ennesimo articolo sui sospirati lavori di ripristino e consolidamento statico del Ponte di Bassano, la cui partenza appare ormai imminente. Cercando di trovare e di dare un senso non superficiale alla situazione in corso.
Fino ad oggi la sacralità dell'illustre malato di legno non è stata rispettata, inariditasi tra le pur legittime istanze di due ditte concorrenti che a colpi di ricorsi giudiziari, e in conseguenza al caotico impasse generato dal Comune di Bassano, si sono contese il prestigioso cantiere.
Terminate le opere di messa in sicurezza di massima urgenza, risolte le prolungate controversie legali e ora che i lavori sono finalmente ai blocchi di partenza è il momento di restituire al Ponte di Tutti quello che negli ultimi tempi, e nell'ultimo anno in particolare, gli è stato tolto: la dignità.
Il suo restauro non è un puro e semplice, e per quanto impegnativo, intervento tecnico. È molto di più: un onere - ma anche un onore - di resurrezione morale della nostra identità comunitaria, come quando venne ricostruito nel secondo Dopoguerra. E se i ponti hanno un'anima, questa deve tornare a pulsare anche tra le due sponde del centro storico e di Angarano.
È questo lo spirito che mi piace pensare per la rinascita del Ponte di Bassano, ceduto e malandato. In simbiosi con quella stessa comunità cittadina di cui è il simbolo. E cioè quello di rinascere, trovando nuovi stimoli da perseguire e obiettivi da raggiungere, assieme a lui.
Come scrive Andrić: “Tutto ciò che questa nostra vita esprime - pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri - tutto tende verso l'altra sponda, come verso una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso.”

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