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Rinascimento in bianco e nero

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Rinascimento in bianco e nero

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Magazine

Modalità lettura - n.16

Una recensione di Stoner, celebre romanzo di John Edward Williams: il racconto della vita di un uomo verticale

Pubblicato il 04-06-2017
Visto 1.593 volte

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Rinascimento in bianco e nero

Il libro della settimana, scelto per Modalità lettura, è un romanzo che è stato un best seller, soprattutto in Europa, tra il 2012 e il 2013, un successo arrivato cinquant’anni dopo la sua uscita negli Stati Uniti, nel 1965. Esistono dei libri che riescono a superare la soglia dell’attualità, l’aggancio col loro tempo, pur raccontando molto sugli anni e sui luoghi in cui sono ambientati, perché mettono in scena personaggi indimenticabili: William Stoner è uno di questi.

Scritto da John Edward Williams, Stoner (Fazi editore, 2012, pp. 332, 17,50 euro) narra la vita di un uomo qualunque, uno di quelli che vengono liquidati in fretta con l’appellativo di “anti-eroe”: nato nel 1891 in una fattoria, Stoner entrò come studente nell’Università del Missouri nel 1910 e ci rimase insegnando letteratura fino al 1956, quando morì di malattia. Ebbe pochi amici, un matrimonio infelice che produsse una figlia triste, un’amante cara vissuta in una storia a orologeria, una carriera lavorativa ostacolata dall’opportunismo e dal cinismo dei colleghi. La sua vita attraversò due guerre, guardate da lontano, da dietro la tenda a stelle e strisce, la prima delle quali portò via giovanissimo il suo amico più caro, David, che restò un modello per la sua esistenza e per la sua lotta contro le avversità.

The human condition, opera di Nathan Sawaya

Ha dei tratti stoici, la vita raccontata di William Stoner, che non fu un anti-eroe, ma un eroe vero, una roccia che combatte le tempeste e le “acque chete” della vita restando immobile, impermeabile − scalfitta e grigia ma piena di cristalli, pura. Gli amori grandi di Stoner sono il lavoro, senza mistificazioni, e la letteratura, ai quali dedica tutte le energie e tutti suoi giorni: è chiaro che gli unici momenti di felicità per lui sono quelli in cui con devozione si documenta, si prepara le lezioni, in cui si accorge che riesce ad accendere la luce della passione negli occhi degli studenti, per i quali nutre un rispetto paterno, pieno di riguardo.
Ha un’etica che lo accomuna al protagonista di Bartleby lo scrivano, Stoner. La parentesi d’amore con Katherine, un’ex studentessa che gli dona una comunione di quelle rare, da affinità elettive, attraversa le pagine come un arcobaleno che si attende da quando Williams scrive, nei primi capitoli, «nel giro di un mese, Stoner realizzò che il suo matrimonio era un fallimento. Di lì a un anno smise di sperare che le cose sarebbero migliorate. Imparò il silenzio e mise da parte il suo amore». Di questa primavera si conosce in anticipo la durata, l’effimero. E si sa che l’incontro con l’amore vero c’è già stato, e parlava di autunno: è quello col sonetto n. 73 di Shakespeare declamato in aula dal suo professore Archer Sloane quando era studente, quello che lo ha fatto innamorare della letteratura.
Tra gli altri personaggi creati ad arte che attraversano le pagine del romanzo, uno sguardo particolare va alla moglie di Stoner, Edith, alla quale Williams dedica un impegno magistrale.
Il patto col lettore non è mai tradito, in questo romanzo che annuncia già nelle prime righe che non narrerà la storia di un personaggio che appassionerà con le sue avventure ma la vita di un uomo qualunque, ordinario, una sorta di Oblomov all’americana che accetta con consapevolezza la mestizia di un’esistenza semplice, poco felice, ma retta: prendendo a prestito il titolo di un romanzo di Davide Longo, Stoner è un uomo verticale.

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